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TRENTO – La sua è una leggenda che attraversa il calcio: da campione assoluto a maestro della panchina, con tre Champions League conquistate alla guida del Real Madrid. Eppure, in questo momento, Zinedine Zidane preferisce la quiete. Al Festival dello Sport di Trento, Zizou non mostra fretta di tornare in campo. “Sono fermo, è vero, ma con i miei figli la mia vita è bellissima. So fare anche altro, come andarli a vedere giocare: tutti e tre sono in Spagna. Un giorno tornerò ad allenare, ne sono certo, ma ora non mi manca. Prima o poi accadrà”.
E sulla panchina della Juve? “Non la escludo. Il club ha fatto altre scelte, come ho fatto io, ma la Juve resta qui”, dice toccandosi il cuore. “Nel futuro, mi piacerebbe molto allenare la Nazionale francese. Vedremo”.
I ricordi bianconeri affiorano vividi. “Gli anni a Torino sono stati meravigliosi. Arrivavo da una Francia dove il calcio non aveva la stessa intensità. In Italia vincere era tutto, un obbligo, dentro e fuori casa. In Francia la mentalità era diversa”. E poi l’impatto con un calcio nuovo: “All’inizio non è stato semplice, anche per il confronto con Platini. Il lavoro era diverso, tantissimo lavoro fisico con Ventrone, che purtroppo non c’è più. Solo dopo ho capito quanto fosse fondamentale”.
Un ricordo speciale va all’Avvocato Agnelli: “Quando facevo una partita notevole o segnavo un gol, anche se tornavo a casa alle tre o quattro del mattino, lui mi chiamava alle sei per farmi i complimenti. Mi parlava in francese. Era un signore, si sentiva la sua passione viscerale per il calcio”.
E non può mancare Alessandro Del Piero: “Quello che faceva in campo era impressionante. Ho avuto la fortuna di condividere con lui quattro o cinque anni, insieme a giocatori di livello come Montero, Padovano, Vieri, Boksic… Avevamo una squadra fortissima, ma lui aveva quel qualcosa in più. Non so spiegare perché quella Juve non sia riuscita a vincere la Champions… abbiamo perso due finali”.
Sulla sua svolta in panchina, Zidane si racconta: “Quando ho smesso da giocatore, ho cambiato vita. Mi sono dedicato ai figli, alla famiglia, ho viaggiato, goduto degli amici. Dopo tre o quattro anni, a 37 anni, mi sono chiesto: ‘E ora che faccio?’. Non potevo continuare così. Un mio amico faceva l’allenatore, e lì ho deciso: mi preparo e provo”.
“Avevo fatto due anni come manager e non mi piaceva. Cambiare percorso, iniziare ad allenare, mi ha fatto capire che era la strada giusta. Ho avuto molti maestri in Francia, ma l’allenatore da cui ho imparato di più è stato Marcello Lippi. Quando sono arrivato qui, per me era tutto difficile, sia fisicamente che tatticamente. Lui, però, mi ha sempre difeso, ha sempre creduto in me. È stato fondamentale”.
La sua filosofia della vittoria è cristallina: “Per me l’80% del merito è dell’allenatore e il 20% dei giocatori. Conta tutto, anche l’atteggiamento in allenamento. Trasmetti sempre la tua energia, devi lasciare i problemi a casa, non portarli in squadra. Al Real Madrid avevo una squadra fenomenale, ma la chiave è stata trasmettere loro una fiducia totale. Io li allenavo, ero assolutamente certo di vincere con loro, e glielo trasmettevo ogni singolo giorno. In campo si vedeva tutto: questa fiducia, unita alla mia idea di calcio. Ho allenato Modrić, CR7, Benzema, Kroos… Che giocatori”, conclude, con un sorriso che racchiude un’intera carriera.
– Foto Ipa Agency –.
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