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Flotilla, dagli aiuti alle contrapposizioni. Inascoltati gli appelli istituzionali

Torna l’eterno vizio di trasformare i fatti in scontri ideologici per attaccare il Governo
sabato, 4 Ottobre 2025
2 minuti di lettura

Negli ultimi due mesi la Global Sumud Flotilla ha attirato in Italia un’attenzione molto superiore a quella riservatale in altri Paesi europei. Mentre la stampa internazionale ha seguito la missione soprattutto nei momenti più drammatici – come l’intercettazione delle barche da parte di Israele e l’arresto di centinaia di attivisti – in Italia la Flotilla è diventata un tema quotidiano, discusso sui giornali, nei talk show e persino nei comizi elettorali.

Flotilla, come cavalcare le polemiche

Le ragioni sono molteplici. La prima è quantitativa: l’Italia era, insieme alla Spagna, il Paese con più rappresentanti a bordo, circa cinquanta, tra cui anche cinque esponenti politici di opposizione. Questo ha reso inevitabile la politicizzazione del tema. Poi c’è la componente logistica: la Flotilla ha avuto in Italia momenti decisivi della sua preparazione. Da Genova, a fine agosto, sono partite le prime imbarcazioni, dopo una raccolta di beni di prima necessità che aveva mobilitato migliaia di persone. Successivamente, molte barche hanno sostato a lungo in Sicilia per completare l’addestramento degli equipaggi e risolvere problemi tecnici, trasformando la missione in una presenza costante sul territorio italiano.

Aiuti? No, solo prove di forza

Ma la vera peculiarità italiana è stata il contesto politico. La missione è coincisa con le ultime settimane della campagna elettorale e la sinistra ha visto nella Flotilla un’occasione per attaccare il governo Meloni, accusato di eccessiva prudenza nei rapporti con Israele. Lo sciopero generale del 22 settembre, indetto dall’USB in solidarietà con la popolazione di Gaza e con la Flotilla, ha avuto una partecipazione sorprendentemente alta, trasformandosi in un banco di prova politico e in un modo per misurare la capacità di mobilitazione dell’opposizione.

Gli appelli istituzionali ignorati

Il governo ha risposto con fermezza: Giorgia Meloni ha definito la Flotilla un’iniziativa “irresponsabile”, sostenendo che mettesse a rischio equilibri diplomatici e i negoziati in corso sulla pace. I ministri Crosetto e Tajani hanno mantenuto un profilo più tecnico e dialogante, proponendo che gli aiuti venissero consegnati al patriarcato di Gerusalemme, ma la proposta è stata respinta dagli organizzatori.

Il danno della semplificazione

In questo scontro, però, non si è discusso solo della Flotilla. La vicenda ha finito per essere un’altra riproposizione del meccanismo binario che domina ormai il discorso politico e mediatico italiano: da una parte “i tiranni”, dall’altra “i difensori della libertà”; da una parte “il fascismo” evocato come minaccia ricorrente, dall’altra chi viene accusato di eccessiva indulgenza verso i nemici dell’Occidente. Un linguaggio manicheo che semplifica, polarizza e impedisce di affrontare il nodo reale – cioè quale ruolo l’Italia debba assumere nel conflitto mediorientale e nei suoi riflessi interni ed europei.

L’eterno vizio delle contrapposizioni

Così, la Flotilla in Italia non è stata solo una missione internazionale, ma il simbolo di un dibattito che ha finito per riflettere più le dinamiche della campagna elettorale che la realtà della situazione a Gaza. E, ancora una volta, ha mostrato come la politica italiana sia incapace di sottrarsi alla gabbia delle contrapposizioni assolute, riducendo ogni questione – interna o internazionale – a una battaglia di campo tra oppressi e oppressori.

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