Bambini che spingono i nonni tra le macerie, piccoli amputati che arrancano nella polvere, neonati prematuri che condividono un’unica fonte di ossigeno. È il quadro drammatico tracciato da James Elder, Portavoce dell’Unicef, durante una conferenza stampa alle Nazioni Unite a Ginevra il 3 ottobre. “La domanda che mi viene posta ovunque a Gaza City è sempre la stessa: ‘Dove posso andare per essere al sicuro?’. E la risposta, dopo quasi due anni, non cambia: da nessuna parte”, ha dichiarato Elder. “Nessun luogo è sicuro nella Striscia di Gaza”.
Secondo l’Unicef, altri 200 mila civili sono stati invitati a lasciare Gaza City, oltre ai 400 mila già costretti a spostarsi verso sud. Ma anche il sud, dove si trovano le cosiddette “zone sicure”, è un luogo di morte: Al-Mawasi è oggi uno dei luoghi più densamente popolati al mondo, privo dei servizi essenziali.
Madri e neonati tra fame, malattie e bombardamenti
L’85% delle famiglie vive nel raggio di dieci metri da fognature a cielo aperto o cumuli di rifiuti, due terzi non hanno accesso al sapone. “La nozione stessa di zone sicure è farsesca – ha detto Elder -. Le bombe vengono lanciate con agghiacciante prevedibilità. Le scuole designate come rifugi sono ridotte in macerie, le tende non offrono alcuna protezione”. Negli ospedali la situazione è altrettanto grave: il Patient Friendly Hospital riceve ogni giorno 60–80 bambini malnutriti, mentre la terapia intensiva neonatale di Al Helou è al collasso dopo essere stata bombardata.
“All’ospedale Nasser – racconta Elder – i corridoi sono pieni di donne che hanno appena partorito. Tre neonati prematuri condividono la stessa fonte di ossigeno, respirando a turno venti minuti ciascuno. Ho visto Nada, una neonata di due chili, dimessa dopo tre settimane di terapia intensiva: ora è sdraiata sul pavimento con la madre, in attesa”.
L’aiuto umanitario è insufficiente
Le donne affrontano viaggi estenuanti dal nord al sud, spesso subendo aborti spontanei lungo il percorso. I medici temono l’arrivo anticipato dei virus invernali. Negli ultimi due anni sono morti almeno mille bambini, molti per malattie prevenibili, ma il numero reale potrebbe essere molto più alto. L’Unicef e i suoi partner continuano a fornire alimenti terapeutici, a riparare linee idriche e a distribuire denaro e assistenza psicologica. Ma, le restrizioni all’ingresso degli aiuti rendono l’intervento “terribilmente inadeguato”.
“Abbiamo raccontato questa guerra contro i bambini con dati e testimonianze — ha detto Elder —. Eppure la situazione oggi è peggiore di ieri”.
“Qualcosa si è profondamente rotto”
“Quando il mondo si abitua a questo livello di violenza e privazione, qualcosa si è rotto”, ha concluso Elder. “La forza del diritto internazionale non sta nelle parole scritte, ma nella determinazione dei Paesi a rispettarlo”. Secondo l’agenzia Onu, la popolazione civile – e in particolare i bambini – continua a essere intrappolata in una crisi umanitaria senza precedenti: senza scarpe, affamati e senza un posto dove andare, vittime di una logica “brutale e contraddittoria” che nega loro sicurezza e futuro.