Il titolo “L’Analista” suggerisce un intreccio tra psiche e indagine, tra parola e sguardo critico. Chi è dunque l’analista del romanzo e che ruolo gioca?
In realtà l’analista è una professoressa di intelligenza artificiale, analista nel senso anglosassone di data analysis. Insegna algoritmi alla Georgetown University, è americana ma di origine saudita. È lei la chiave di un intrigo internazionale che coinvolge un lobbista italiano in missione a Washington. Tra i due nasce un’attrazione magnetica e pericolosa: attorno a questa figura femminile ruota l’intera vicenda, che la vede come autentica protagonista.
Nella quarta di copertina si accenna a un gioco di manipolazione legato all’identità della protagonista. Come gioca l’elemento delle origini e delle radici in rapporto alla verità?
Farah, la protagonista, pur essendo americana di nascita non si è mai sentita pienamente integrata nel modello statunitense. Ha una carriera brillante e collabora con il Dipartimento di Stato, ma fin dai tempi della scuola, durante la guerra del Golfo, si è percepita come estranea e persino invisa ai compagni. Porta dentro di sé questo senso di esclusione, fino a quando a Washington compare un lontano cugino saudita, fine manipolatore arruolato da uno sceicco del terrore. Sarà lui a tentare di trasformarla in qualcosa di diverso da un’analista. Non anticipo cosa diventerà: basti dire che lei è la pedina centrale di tutta la vicenda, e già la quarta di copertina pone la domanda se Richard, il lobbista, riuscirà a salvarla.
Qual è stato il nucleo iniziale del romanzo? Un’immagine, un’idea, una frase che ha acceso la narrazione?
Tutto nasce da un lobbista italiano a Washington, impegnato a sviluppare investimenti bilaterali. Ben presto, però, la sua missione si trasforma in qualcosa di molto più complesso: rimane intrappolato in un intrigo internazionale proprio in un momento di stanca della sua vita. Sullo sfondo c’è un tema di forte attualità geopolitica: la cospirazione mira a far saltare un vertice tra il presidente americano e il principe ereditario saudita, minando la storica alleanza tra la famiglia Al-Saud e gli Stati Uniti. Lo scopo è destabilizzare il Medio Oriente, isolare Israele e consegnare la regione all’islam integralista.
Dal punto di vista stilistico e narrativo, quali scelte ha fatto?
Non ho adottato particolari artifici: è il protagonista stesso a risultare “stiloso”, osserva e categorizza le persone attraverso dettagli estetici e di abbigliamento, con grande attenzione ai codici della moda. Una cifra distintiva del romanzo è che nessuno è come appare: ogni personaggio si rivela diverso da ciò che sembra all’inizio.
Quale questione urgente, o quale emozione, spera che il romanzo lasci al lettore?
Credo che il lettore finirà per provare simpatia ed empatia non solo per il protagonista, un antieroe, ma anche per Farah e il suo percorso. Il romanzo vuole stimolare una riflessione sul Medio Oriente: quando è stato scritto non si era ancora arrivati all’attuale escalation, ma offre chiavi di lettura utili anche per comprendere vicende recenti, compreso il conflitto di Gaza.