La serialità che uccide i supereroi. Eutanasia dei cinecomics

Questo filone narrativo è stato per anni uno dei più amati, ma negli ultimi tempi ha subito delle battute d’arresto, come dimostrano anche gli ultimi insuccessi della Marvel. Probabilmente i motivi di questa disaffezione verso i supereroi vanno ricercati in un mercato ormai saturo e in una maggiore esigenza da parte del pubblico di vedere storie che rispecchino maggiormente la realtà che ci circonda
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Le storie con protagonisti i supereroi sono state da sempre tra le più apprezzate, indipendentemente se su carta stampata o sul grande schermo. Indubbiamente, però, il cinema è quello che è riuscito meglio a raccontare, nella maniera più scenografica ed emozionante, la loro abilità di rendere l’impossibile possibile. A dominare il mercato, dal 2008 fino all’uscita di “Avengers: Endgame” nel 2019, è stata la Marvel grazie alla costruzione di un universo basato su storie e personaggi intrecciati tra loro, che hanno dato vita a un’esperienza unica, non solo dal punto di vista tecnico e narrativo, ma anche da quello di gradimento del pubblico.

Secondo Paola Brembilla, professoressa associata all’Università di Bologna, dove insegna Televisione e Media Digitali e coordina il Corso di Laurea Magistrale in Cinema, televisione e produzione multimediale, “Endgame” ha rappresentato “il culmine di un’operazione iniziata un decennio prima, produttivamente progettata con estrema cura e narrativamente orientata a un obiettivo: il gran finale. C’era l’effetto-novità della creazione di un universo transmediale condiviso fra più supereroi, puntellato dall’uscita di film, riuniti poi periodicamente in film-evento, a loro volta intervallati da serie TV e altri contenuti online. Le linee narrative principali erano e quelle dei film e seguivano tutte una sola direzione, mentre le serie TV e gli altri contenuti restavano più ‘di nicchia’. Dal punto di vista tecnico, questa serializzazione così lineare favoriva la qualità della scrittura e del lavoro sui singoli prodotti, ma anche la loro armonizzazione con tutto il resto. E, molto importante, al pubblico non era richiesto di avere visto tutto: bastava seguire la ‘strada maestra’ dei blockbuster e poi, per i più appassionati, c’era anche tutto il resto”.

Il declino dei “cinecomics”

Ciononostante, sembrerebbe che la Marvel, e un po’ tutto il filone dei “cinecomics”, abbiano perso quella scintilla che qualche anno fa portava il pubblico in massa al cinema. Le ragioni si possono rintracciare in un cambiamento dei gusti del pubblico, ma anche e soprattutto nel mercato ormai saturo di storie sempre uguali, senza più alcuna originalità. “Le cose sono cambiate dopo Endgame – prosegue la professoressa Brembilla -. In primis, il fisiologico esaurimento delle linee narrative e dei personaggi principali, ma anche il fatto che l’operazione stessa è cambiata. Con il lancio di Disney+, l’esigenza primaria è diventata quella di posizionare la piattaforma sul mercato, perché sulle piattaforme funziona meglio il prodotto seriale, che aiuta a trattenere l’utente per più tempo nell’ecosistema digitale. Il motore della narrazione del Marvel Cinematic Universe (MCU) si è spostato, quindi, dai film alle serie. A un certo punto, però, è diventato necessario avere visto tutte le serie per capire i film, ma vedere tutte le serie prodotte da una piattaforma richiede molto più tempo e dedizione di due o tre film all’anno”.

Ed è proprio in questo eccesso di serializzazione che secondo la Brembilla va ricercato l’inizio della fine della Marvel e di tutto il genere: “Il tasso di serializzazione si è alzato, il multiverso ha addirittura moltiplicato le versioni dei personaggi, gli ammiccamenti al pubblico attraverso giochi intertestuali e citazioni (il cosiddetto fanservice) sono diventati troppi e, quindi, escludenti per chi non aveva visto tutto. Infine, la necessità di produrre il più possibile per riempire il tempo del pubblico e le library di Disney+ ha abbassato l’iniziale qualità tecnica e creativa delle produzioni stesse. Semplicemente, è diventato tutto ‘troppo’, sia per la produzione sia per il pubblico. Non a caso, infatti, la chiamano franchise fatigue”.

L’affetto e la familiarità del pubblico nei confronti dei personaggi, che per undici anni hanno accompagnato ogni fan della Marvel non sono, quindi, bastati a reggere la complessità della linea narrativa e cronologica dei lungometraggi successivi ad “Avengers: Endgame” e per questo l’interesse è scemato, senza tralasciare la riduzione della qualità estetica e di sceneggiatura di questi prodotti. E come anche la professoressa ha ribadito: “Il MCU non è riuscito a trovare un equilibrio tra continuità e cambiamento” e questo ha portato all’insuccesso.

Le ragioni sociologiche

Da un punto di vista più sociologico, il pubblico parrebbe alla ricerca di storie più complesse e personaggi maggiormente realistici. Non basta una storia epica e gli effetti speciali, serve un racconto fatto di emozioni e verosimiglianza alla realtà e alla società contemporanea, complesso, strutturato e se serve anche ambiguo. Si sente il bisogno di personaggi umani, vulnerabili, in grado di mostrare i propri pregi e difetti. Per questo il motivo per cui negli ultimi anni i cinecomics che hanno riscosso maggior successo sono “The Batman”, “Joker”, “Thunderbolts” e il più recente “Superman” di James Gunn, che sono riusciti a raccontare una storia già conosciuta ma in chiave più umana ed emotiva, intrecciando fantasia e realtà in maniera equilibrata, ma soprattutto riuscendo a raccontare, attraverso queste storie di finzione, la complessità della nostra epoca.

Il futuro dei supereroi nel cinema

La domanda da porsi è, quindi, se per i “cinecomics” e per la Marvel ci sia ancora spazio. Forse sì, perché esiste un tentativo da parte della casa di produzione di adattarsi alla società odierna. “Per quanto riguarda la Marvel – spiega ancora Brembilla -, a mio avviso i film del 2025 (“Thunderbolts” e “Fantastic Four”) hanno evidenziato un tentativo di ricostruire la massa del pubblico attraverso la combinazione di più segmenti. Non mi pare che con progetti come questi si punti a sfondare il box office come per i primi film degli Avengers, quanto piuttosto a fidelizzare diverse porzioni di pubblico che poi, magari, possano essere ‘trascinate’ su altri prodotti, abbassando anche il grado di serializzazione e complessità del tutto. Anche le ultime serie Disney+, come per esempio “Agatha All Along”, non servono davvero più a creare nuove svolte per l’intero universo, ma a catturare determinate nicchie di pubblico. In questo caso i fan di “WandaVision” e la comunità LGBTQAI+. Sarà interessante vedere il risultato dell’imminente “Doomsday”, che sembra puntare poi a una sorta di ‘Legacyquel distopico’: Robert Downey Junior tornerà a vestire i panni di Tony Stark, ma questa volta in una linea del multiverso in cui è il villain Dr. Doom”.

Proprio in questi ultimi giorni, intanto, si susseguono voci che vedrebbero un ritorno a sorpresa di Chris Evans come Steven Rogers, ma nei panni di Captain America Hydra, la sua versione “cattiva”. Il ritorno, dunque, di vecchi personaggi e attori, ma in una nuova versione. “Lo studioso David Bordwell – conclude l’esperta – lo chiamava anche ‘more of the same, but different’. E credo che sia qui il futuro delle produzioni sui supereroi: l’aggiornamento continuo, mantenendo alcuni punti fermi. Come, d’altra parte, hanno sempre fatto”.

Leggi anche l’articolo “Thunderbolts* e il potere di identificazione nei propri eroi” – La Discussione https://ladiscussione.com/363387/cultura/cinema/thunderbolts-e-il-potere-di-identificazione-nei-propri-eroi//

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