Circa 970 turisti, tra cui centinaia di stranieri, sono rimasti bloccati nei pressi di Machu Picchu a causa delle proteste antigovernative che hanno interrotto i servizi ferroviari nella regione di Cusco. Le manifestazioni, scoppiate il 17 settembre, hanno paralizzato le linee che collegano la cittadina di Aguas Calientes – porta d’accesso al celebre sito archeologico – con il resto del Paese. Secondo le autorità locali, i manifestanti hanno occupato tratti di binario e bloccato le stazioni, chiedendo la revoca di un piano di concessione turistica che, secondo loro, favorirebbe imprese straniere a scapito delle comunità indigene. “Non siamo contro il turismo, ma contro la privatizzazione del nostro patrimonio,” ha dichiarato un portavoce del movimento Quechua Libre. Il governo peruviano ha inviato squadre di emergenza per evacuare i turisti più vulnerabili, tra cui anziani e persone con problemi di salute. Alcuni sono stati trasportati in elicottero fino a Ollantaytambo, dove hanno potuto proseguire il viaggio verso Cusco. Il ministro del Turismo, Juan Carlos Matos, ha assicurato che “tutti i visitatori saranno assistiti e riportati in sicurezza”. Tra i turisti bloccati ci sono cittadini statunitensi, europei e asiatici, molti dei quali hanno condiviso sui social immagini dei binari vuoti e dei sentieri affollati. “Siamo qui da tre giorni, senza treni né informazioni chiare,” ha scritto una turista francese su X, “ma la gente del posto ci sta aiutando con cibo e alloggi.” Machu Picchu, patrimonio UNESCO e simbolo del Perù, attira ogni anno oltre un milione di visitatori. Le proteste, che si sono estese anche a Puno e Arequipa, rischiano di compromettere la stagione turistica e di riaccendere il dibattito sulla gestione delle risorse culturali. Intanto, mentre i treni restano fermi, il silenzio delle Ande è rotto solo dalle voci dei turisti e dai cori dei manifestanti. Il viaggio verso la cittadella Inca, per molti, si è trasformato in un’odissea.
