L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha confermato che l’Iran ha incrementato le proprie scorte di uranio arricchito al 60% – una soglia vicina a quella necessaria per l’uso militare – nei giorni immediatamente precedenti all’attacco israeliano contro i siti nucleari di Teheran. Il dato, contenuto in un rapporto riservato diffuso il 12 giugno, ha sollevato nuove preoccupazioni sulla trasparenza del programma nucleare iraniano e ha alimentato le tensioni geopolitiche nella regione. Secondo il direttore dell’AIEA Rafael Grossi, gli ispettori dell’agenzia avevano osservato un’accelerazione delle attività di arricchimento presso i siti di Fordow e Natanz, con movimenti sospetti di materiali e personale. “Non abbiamo prove che l’Iran stia costruendo un ordigno nucleare,” ha precisato Grossi, “ma la mancanza di cooperazione e la crescita delle scorte sono elementi che non possiamo ignorare”. L’attacco israeliano, avvenuto tre giorni dopo la pubblicazione del dossier, ha colpito i principali impianti di Isfahan e Natanz, provocando danni strutturali ma senza conferme ufficiali sull’effettiva distruzione delle centrifughe. Secondo fonti statunitensi, l’Iran avrebbe spostato parte del materiale arricchito in località non dichiarate, rendendo difficile una valutazione completa. Il governo iraniano continua a sostenere che il proprio programma nucleare ha finalità esclusivamente civili, ma le opacità tecniche e diplomatiche denunciate dall’AIEA alimentano il sospetto di un progetto parallelo. Israele, da parte sua, ha definito l’azione militare “preventiva e necessaria” per evitare che Teheran raggiunga la soglia critica. In un contesto già segnato da instabilità, il dossier dell’AIEA rischia di diventare il nuovo casus belli in una regione dove la diplomazia sembra sempre più fragile e la corsa al nucleare sempre più concreta.