Una nuova frontiera della biotecnologia sta sollevando interrogativi inquietanti tra gli scienziati. Si tratta della cosiddetta “vita speculare”, organismi sintetici creati in laboratorio con una struttura molecolare invertita rispetto a quella naturale. In apparenza identici, questi esseri viventi sono costruiti con amminoacidi destrorsi, anziché sinistrorsi, rendendoli incompatibili con qualsiasi forma di vita conosciuta. L’obiettivo dichiarato dei ricercatori è ambizioso: creare sistemi biologici più stabili, resistenti a virus e batteri, e potenzialmente utili in ambienti estremi come Marte. Ma secondo un gruppo di biologi evoluzionisti, il rischio di una contaminazione accidentale è tutt’altro che remoto. “Se questi organismi dovessero uscire dai laboratori, potrebbero alterare gli equilibri ecologici in modo imprevedibile,” ha dichiarato la professoressa Elaine Kwan del MIT. “La loro struttura speculare li rende invisibili al sistema immunitario e potenzialmente letali.” Il timore è che la “vita speculare” possa competere con quella naturale per risorse fondamentali, come l’ossigeno o il carbonio, senza essere soggetta ai meccanismi di controllo biologico. Alcuni scienziati parlano apertamente di una possibile “estinzione molecolare”, in cui la vita terrestre verrebbe soppiantata da una forma aliena creata dall’uomo. Le autorità scientifiche internazionali stanno valutando l’introduzione di protocolli di contenimento più rigidi, ma la corsa alla bioingegneria sembra difficile da frenare. “Stiamo giocando con le fondamenta stesse della vita,” ha ammonito il genetista francese Luc Moreau. “E non abbiamo ancora capito le regole del gioco.” Nel frattempo, i laboratori continuano a produrre nuove varianti speculari, in nome del progresso. Ma il confine tra innovazione e minaccia esistenziale non è mai stato così sottile.
