Cinque evasioni in cinque giorni. È il dato che ha fatto scattare l’allarme del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che propone di valutare l’intervento dell’Esercito per presidiare dall’esterno gli istituti di pena. Una misura drastica, ma che secondo il Segretario generale Donato Capece non dovrebbe sorprendere: “Non c’è nulla di scandaloso. Già in passato, in momenti di emergenza, l’Esercito ha assunto il servizio di sentinella: basti pensare all’Operazione Vespri siciliani, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, o alla più recente decisione del prefetto di Nuoro di disporre la sorveglianza militare fuori dal carcere dopo la fuga di un boss”. Il Sappe fotografa la situazione come “drammaticamente peggiorata” negli ultimi vent’anni. Nel 2006 gli agenti penitenziari in servizio erano oltre 41mila per 53mila detenuti distribuiti in 202 carceri. Oggi, con 63mila detenuti e 267 strutture da controllare, gli agenti effettivi sono poco più di 36mila. Una forbice che si allarga ogni anno: se vent’anni fa i pensionamenti riguardavano circa 500 poliziotti all’anno, oggi sono 3.000 le uscite annue, con conseguente perdita di personale esperto e qualificato.
Capece parla senza mezzi termini di “collasso alle porte”: “Le porte degli istituti sono ormai spalancate, come dimostrano le evasioni. Nessuno può più fingere di ignorare la drammaticità della situazione. L’ignoranza della crisi carceraria non potrà esentare nessuno dalle proprie responsabilità quando succederà qualcosa di irreparabile”.
La proposta
Da qui l’idea di un’operazione ʼCarceri sicureʼ, sul modello già sperimentato in Sardegna, con i militari impiegati come presidio esterno per liberare risorse della Polizia penitenziaria e concentrare gli agenti nei compiti più delicati all’interno delle strutture. Il sindacato insiste sulla necessità di interventi immediati e strutturali: “Il tempo delle mezze misure è finito. La sicurezza dei cittadini, la vita dei detenuti e la dignità del lavoro dei poliziotti penitenziari non possono più aspettare”.