La Repubblica Democratica del Congo è di nuovo sotto i riflettori internazionali, ma per motivi tragici. Secondo un rapporto pubblicato da Amnesty International il 20 agosto, omicidi sommari e stupri di gruppo stanno dilagando nell’est del Paese, in particolare nelle regioni del Nord e Sud Kivu. Le violenze, definite “orribili violazioni dei diritti umani”, sono attribuite ai gruppi armati M23 e Wazalendo, nonché a elementi delle forze armate congolesi (FARDC). Il documento raccoglie testimonianze di oltre 50 persone, tra cui sopravvissuti, operatori sanitari e attivisti locali. Le vittime raccontano di attacchi notturni, rapimenti da ospedali, torture e violenze sessuali sistematiche. In almeno 14 casi documentati, donne sono state stuprate da gruppi di uomini armati, spesso in uniforme, in contesti di terrore e impunità. Alcune sono state legate tra alberi, altre violentate in strutture militari. Tra marzo e maggio 2025, il gruppo M23 ha preso il controllo di città strategiche come Goma e Bukavu, intensificando le violenze. Amnesty denuncia anche l’uso di ospedali come luoghi di tortura: pazienti e infermieri sono stati rapiti, frustati e costretti a unirsi ai ribelli. La comunità internazionale è chiamata a reagire. Amnesty chiede un’azione concertata da parte dell’Unione Africana, dell’UE e delle Nazioni Unite per proteggere i civili e garantire giustizia. “La brutalità non conosce limiti,” si legge nel rapporto, “e i civili sono il nemico comune di tutti i gruppi armati”. In un Paese segnato da decenni di conflitti e impunità, la denuncia delle ONG è un grido d’allarme. Ma senza interventi concreti, il Congo rischia di restare prigioniero di una spirale di violenza che colpisce i più vulnerabili.
