Il 6 giugno scorso si è tenuto un incontro informale con il ministro della Cultura, Alessandro Giuli richiesto dalle principali associazioni dei lavoratori dello spettacolo. Al centro del confronto la crisi che sta vivendo il cinema italiano dovuta al blocco delle produzioni per i ritardi nelle assegnazione dei fondi, in particolare del tax credit. Ciò che è emerso da questo confronto è la necessità di salvaguardare il cinema indipendente, vera e propria fucina di talenti del futuro e salvezza per le piccole e medie produzione e la questione ideologica dello spazio ad oggi concesso in ambito professionale e creativo. Come ha sottolineato in conferenza stampa Beppe Fiorello: “Si deve dire che il cinema ha un problema, e questo problema sono soprattutto i lavoratori che non hanno più uno spazio per esprimersi da un punto di vista artistico e i lavoratori che non hanno uno spazio di lavoro. Nel cinema sono tantissimi, anche perché la nostra è un’opera collettiva. Con l’assenza di questo mestiere, sono tantissime le famiglie in difficoltà”.


Nonostante la complessità dell’attuale panorama è, però, interessante constatare come i giovani talenti non si lascino affatto scoraggiare dalla situazione, come nel caso della giovane attrice Giorgia Faroni e l’esordiente regista Gabriele Manzoni che abbiamo intervistato e che insistono, invece sulla importanza della forza di volontà nel perseguire una carriera, sempre vista con scetticismo per le tante difficoltà.
La passione è sempre l’unica chiave per aprire ogni porta
Il cinema si profila per i giovani autori come uno sbocco creativo, una possibilità espressiva che a oggi consentirebbe dei risultati eccezionali, grazie anche alle nuove tecnologie e a una fertilità inaudita di idee e soluzioni, che non aspettano altro che di potersi esprimere. Purtroppo, parlare di cinema in Italia significa anche fare i conti con una concezione elitaria ed esclusiva della professione, dove difficilmente si riesce a entrare semplicemente attraverso il cosiddetto merito. Per Giorgia Faraoni, per la quale la professione che ha intrapreso è anzitutto una necessità esistenziale ed espressiva, il segreto risiede nell’affrontarla sempre “con un cuore puro”: “Ovviamente c’è chi riesce a introdursi tramite conoscenze e favoritismi, ma credere che sia sempre così è fuorviante. Le scorciatoie in questo ambito, come in altri, hanno vita breve. L’importante è che non manchi mai l’entusiasmo, i risultati non tarderanno ad arrivare”.

Anche per il regista Gabriele Manzoni la settima arte rappresenta “la volontà di leggere se stessi e capire il mondo che ci circonda”, anche se ammette che, se si vuole percorrere questo cammino in Italia, per forza di cose occorre “lottare con tutto e tutti”. Alle tante difficoltà non resta che contrapporre la propria forza creativa e la grande passione: “Alla fine della fiera – continua il regista – il discorso delle conoscenze non regge per chi è bravo davvero, che diventa per merito una bandiera del panorama. Le scuole di cinema e i mezzi per farlo aumentano sensibilmente; perciò, non si può parlare totalmente di esclusività”.
Il cinema italiano è al collasso?
Altro grande dibattito riguarda le derive del nostro cinema. C’è chi parla di modesta ripresa e chi invece insiste col disfattismo, ritenendolo un settore ormai allo sbaraglio. “Parlare di collasso è improprio – commenta Gabriele Manzoni -: il cinema sta cambiando e sta diventando sempre più esperienziale, dove la sala diventa tutto ciò che resta per distinguersi dalle serie tv e dai contenuti social. Però è vero che lo spazio concesso ai giovani è poco e in Italia di solito si inizia a essere giovani esordienti dopo i trent’anni”. Si tratta, dunque, di un’industria radicalmente diversa dalle altre, dove, però, il nostro cinema non può concedersi di correre altri rischi, partendo così tanto svantaggiato. Manzoni resta dell’avviso che “il cinema italiano sia incatenato a una logica per cui certi film, che non dovrebbero esserci, vengono portati avanti a forza”. Una peculiarità culturale che crea un divario enorme con gli altri Paesi: “In America, ad esempio, è l’ultimo film dell’autore quello che conta; quindi, anche se sei un grande nome devi sempre stare all’erta. Qui da noi è difficile che questo succeda e a pagarne le conseguenze sono i giovani. Bisogna però ricordare anche quelle piccole realtà illuminate che, nonostante tutto, continuano a perseverare per cambiare il settore”.
Ci si interroga sulle responsabilità
Di fronte ai continui conflitti tra industria cinematografica e classe politica, è lecito chiedersi fino a che punto è possibile addurre le responsabilità delle attuali difficoltà del nostro cinema alle commissioni ministeriali e a chi occupa i vertici del Ministero della Cultura. “Il cinema ha sempre avuto anzitutto uno scopo sociale – fa presente Giorgia Faraoni -, cercando di dare spesso voce alle minoranze e questo è probabilmente l’orizzonte verso cui bisogna puntare con forza, poiché concentrarsi su chi non ha voce non farà più passare inosservato il problema. Anche quando si parla di cinema ci si riferisce a delle minoranze di professionisti cui ancora non viene data la giusta visibilità ed è attraverso loro che bisognerebbe portare avanti la causa: se si può dar voce a qualcuno, perché non farlo?”. E a proposito dei ruoli che le sono stati proposti l’attrice veneta spiega che “accettare certi lavori” è stato per lei fondamentale per scoprire “una grande varietà di voci pronte a emergere, che dalle retrovie scalpitano e insorgono contro certi meccanismi”.