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L’IVA al 5% sull’Arte. Una nuova sfida politica europea

Nessuna aliquota di sottrazione all’erario statale, ma maggiorazione del fatturato interno, che potrebbe passare dagli attuali 1, 36 miliardi di euro solo in Italia a 4,5 miliardi, restituendo all’Arte la sua giusta importanza
sabato, 9 Agosto 2025
2 minuti di lettura

L’approvazione dell’articolo 9 del Decreto Legge Omnibus avvenuta lo scorso 20 giugno 2025 per decisione del Consiglio dei Ministri ha finalmente dato respiro tranquillo al mercato dell’arte in Italia.

L’aliquota fissata al 5% sulle cessioni e le importazioni di opere d’arte ha subito un passaggio repentino che potrebbe definirsi quasi un miracolo per l’economia del nostro Paese, sebbene molti siano tuttora i pareri contrari a questa manovra legislativa.

La riduzione dell’IVA alla soglia del 5% dal precedente 22% si conferma oggi come una delle aliquote dal valore più basso in Europa, che innalza di gran lunga il grado di competizione con lo scacchiere europeo come da molti anni a questa parte non sembrava accadere. Dei precedenti simili, ma non uguali, furono dati già dalla Francia nel 2023 con una discesa fiscale al 5,5% e poi l’anno successivo dalla Germania con un discreto 7% imponibile erariale, entrambi entrati in vigore dall’1 gennaio 2025.

A fronte di una drastica paralisi avuta negli ultimi 3 anni nel sistema dell’arte italiano, riversatasi senza riserve, ovviamente, sulle strutture istituzionali dei beni culturali e accademiche, il cerchio dei pareri sfavorevoli alla suddetta misura governativa si è tuttavia allargato, nutrendosi della qualificazione del provvedimento quale “necessità d’elitarietà” e non di interesse primario.

Considerare l’economia del sistema dell’arte come elitaria non corrisponde però al tacciare di superfluità una adozione fiscale che interessa, contrariamente a quanto sostenuto dai detrattori del DL Omnibus, tutta la nostra filiera economica di import ed export in Europa.

A goderne primariamente di questo vantaggio sono in tutta evidenza i galleristi e i collezionisti, che potranno vendere e acquistare con maggiore agilità le opere d’arte nel territorio nazionale, ma al tempo stesso potranno favorire anche il mercato forestiero non solo del lusso, come è ampiamente, e a torto, creduto, ma anche quello politico internazionale per le relazioni di scambi culturale e istituzionale.

Gli altri operatori e professionisti del settore che potranno recuperare un miglior raggio d’azione nella promozione e curatela del sistema dell’arte sono i critici e i curatori insieme agli Enti di ricerca, mai tanto trascurata in questa “zona limite statale” così come nell’ultimo decennio.

La capacità di acquisto di capolavori internazionali o di collezioni private è per uno Stato occidentale antonomastico come l’Italia fonte di grande rilevanza diplomatica nei rapporti internazionali e di importante peso politico nel fondo pubblico di investimento europeo, poiché le opere d’arte costituiscono ancora, e non possono farne a meno, una sorta di “potestà emancipativa” per la sovranità di un Paese.

Nella fattispecie, vale questo ancor più per un Paese democratico dove la cultura permane a fondamento insostituibile della libertà d’espressione e dei diritti umani.

Non è un caso che l’avvio di questa riforma sia stato dettato proprio dalla Direttiva UE 2022/442 del 5 aprile 2022, con l’elargizione liberale di introduzioni da parte di ogni Stato membro di nuove aliquote di IVA per specifiche categorie di beni e servizi pubblici che rientrassero all’interno delle disposizioni contenute nell’Allegato III della Direttiva 2006/112.

L’obiettivo dell’agevolazione dichiarato dalla Commissione non era solo il beneficio del consumatore finale, ma anche il benessere e interesse generale, e tra le 29 categorie selezionate nell’allegato era proprio presente l’applicazione dell’IVA ridotta al 5% per la cessione degli oggetti d’arte, che fossero da collezione o di antiquariato, in quanto ritenute entro la categoria merceologica atta al raggiungimento di obiettivi e finalità politiche sociologiche e culturali.

La inclusione del mercato dell’arte nelle disposizioni normative della suddetta direttiva europea rappresenta ulteriore testimonianza per la disciplina dell’economia del nostro Paesedell’importanza politica che l’Arte riveste come fonte e paradigma di civiltà non meramente dell’Occidente, bensì della Democrazia.

Mai come adesso l’Arte è il ponte pacifico per le diversità geopolitiche e sociali che stiamo attraversando in Europa e oltre-Oceano ed è per questo che è stata riconosciuta degna di una vera battaglia decennale dalla collaborazione del Gruppo Apollo appoggiato dai Ministeri dell’Economia e delle Finanze, della Cultura e al Presidente della Commissione Cultura della Camera e Senato, per cui il comparto della cosiddetta “industria dell’arte” vale, secondo quanto registra Nomisma, circa 1, 36 miliardi di euro solo in Italia, e potrebbe ancora aumentare esponenzialmente attraverso questa manovra fino a 4,5 miliardi. Potrebbe trattarsi dunque di una nuova sfida politica da parte dell’Italia nella problematica Europa di oggi.

Mauro Di Ruvo

Critico d’arte classicista, filologo classico e cavaliere del diritto romano

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