Mai come ora, nel tempo della pandemia, c’è bisogno di Europa, ma mai come ora l’Europa è a rischio.
Il suo destino oscilla fra una rafforzamento della sua identità solidale e l’alternativa di un arretramento che causerebbe un vasto movimento di disillusione, di protesta e di rancore: un movimento, questo, che potrebbe segnare il definitivo declino di quella che è stata, ed è tutt’ora, la più fertile iniziativa politica partorita nel dopoguerra da classi dirigenti illuminate e dai forti ideali democratici.
Sono scenari condizionati alla prevalenza o meno dell’atteggiamento rigido nuovamente assunto da alcuni paesi del Nord, che insistono ad escludere ogni possibilità di emissione di bond europei per consentire il finanziamento a fondo perduto di politiche tese a sanare i drammi sociali ed umani creati dal fallimento di tante imprese e dal conseguente determinarsi di vaste platee di disoccupati.
I cosiddetti rigoristi che, insieme, rappresentano un’assoluta minoranza della popolazione europea, si oppongono infatti al piano franco-tedesco sostenuto anche dall’Italia, che mira proprio a introdurre un nuovo livello di solidarietà reale nelle politiche dell’Unione.
C’è da sperare che la cancelliera Merkel riesca a piegare l’ostinazione di paesi che gravitano proprio nell’orbita germanica: se così non fosse le conseguenze potrebbero essere disastrose.
È altrettanto evidente che anche noi, come Italia, siamo chiamati a comportamenti sani e responsabili.
L’orizzonte non può essere quello, caro ai cinque stelle, di una società assistita, ma invece propulsiva e innovativa per vitalità delle imprese ed efficienza della pubblica amministrazione, come non può essere quella di regioni incapaci di mettere a frutto le risorse comunitarie già disponibili.