venerdì, 25 Luglio, 2025
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Pensioni, rallenta il flusso: nel 2025 liquidazioni giù del 17%

L’Inps: “Oltre 889mila nuove prestazioni nel 2024, con un importo medio mensile di 1.223 euro”. Nei primi sei mesi del 2025 le uscite scendono a 397mila

È stato pubblicato ieri il nuovo ‘Osservatorio sul monitoraggio dei flussi di pensionamento dell’Inps’, aggiornato al 2 luglio 2025. Il documento fotografa con precisione l’andamento delle pensioni con decorrenza nel 2024 e nel primo semestre del 2025. I dati confermano una platea ampia di nuovi pensionati: 889.642 uscite lo scorso anno, a fronte di 397.691 nei primi sei mesi di quest’anno. Ma emerge un rallentamento evidente del ritmo di uscita dal lavoro. Il dato complessivo parla di 1.287.333 nuove pensioni liquidate nell’arco di 18 mesi, ma è proprio il confronto tra i due semestri a segnalare un trend in discesa. Nel primo semestre del 2024 le pensioni liquidate erano 479.652. Dodici mesi dopo, lo stesso indicatore segna 81.961 trattamenti in meno, una flessione del 17,2%. L’importo medio mensile delle pensioni alla decorrenza si mantiene sostanzialmente stabile: 1.223 euro per il 2024, 1.215 euro per i primi sei mesi del 2025.

Il report distingue per categorie: nel 2024 sono state erogate 271.527 pensioni di vecchiaia, 224.392 anticipate, 60.094 di invalidità e 236.107 ai superstiti. Nel primo semestre 2025 i numeri scendono a 117.901 vecchiaia, 98.356 anticipate, 23.996 invalidità e 106.693 superstiti. Anche gli assegni sociali subiscono una lieve contrazione: da 97.522 a 50.745.

Un calo che riflette l’incertezza

Dal punto di vista delle singole gestioni, il Fondo lavoratori dipendenti guida la classifica con 355.508 pensioni liquidate nel 2024 e 163.374 nel primo semestre 2025. Seguono la gestione dei dipendenti pubblici (128.276 e 43.736), artigiani (87.308 e 41.404), commercianti (76.137 e 36.121), parasubordinati (48.418 e 22.802) e coltivatori diretti (33.632 e 15.198). Il rallentamento non è imputabile a un singolo fattore. L’Inps sottolinea che una parte delle domande potrebbe non essere ancora stata lavorata al momento della rilevazione. Ma non si tratterebbe solo di ritardi tecnici. Sempre più lavoratori sembrano adottare un atteggiamento attendista, rinviando la scelta della pensione in attesa di una riforma del sistema o di condizioni più favorevoli. Il dibattito politico sulle modifiche a Quota 103, le discussioni sull’anticipo flessibile e le incertezze sulle pensioni minime contribuiscono ad alimentare questa prudenza.

Il rallentamento è trasversale a tutte le gestioni previdenziali: pubblici, privati, autonomi e parasubordinati. In particolare, la contrazione nel settore pubblico risente anche della restrizione progressiva delle finestre di uscita anticipata. Strumenti come l’Ape Sociale o Opzione Donna, un tempo leve fondamentali per l’accesso anticipato, sono oggi meno accessibili, contribuendo a ridurre la propensione al pensionamento.

I requisiti restano fermi

Formalmente i criteri di accesso alla pensione non hanno subito modifiche sostanziali. La pensione di vecchiaia resta fissata a 67 anni, mentre quella anticipata richiede almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, uno in meno per le donne. Però questi numeri spesso si scontrano con la realtà di un mercato del lavoro disomogeneo, segnato da carriere discontinue e periodi di inattività che rendono difficile il raggiungimento dei requisiti, soprattutto tra le fasce più fragili. Nonostante ciò, le pensioni anticipate continuano a rappresentare una quota importante, perché chi ha già raggiunto i requisiti teme possibili strette future e preferisce non rimandare.

Il monitoraggio Inps mette in luce anche le differenze territoriali: oltre la metà delle pensioni con decorrenza nel primo semestre 2025 è stata liquidata al Nord. Seguono il Sud e il Centro, confermando un divario strutturale legato alla maggiore regolarità dei percorsi lavorativi nelle regioni settentrionali.

Un altro elemento rilevante riguarda la componente di genere. Le donne restano in maggioranza tra i nuovi pensionati, ma la distanza si sta assottigliando. Se nel primo semestre del 2024 il divario a favore delle donne superava il 13%, nei primi sei mesi del 2025 si è ridotto al 7%. Un segnale che può essere letto anche in relazione alle difficoltà crescenti per molte lavoratrici, spesso con carriere spezzettate o part-time, nel maturare l’anzianità contributiva richiesta.

Invalidità e assegni sociali

Anche le pensioni di invalidità registrano un lieve calo: dal 22% del totale nel primo semestre 2024 al 20% nei primi sei mesi del 2025. È un dato che potrebbe riflettere criteri più selettivi da parte dell’Inps oppure una riduzione nelle domande. Gli assegni sociali seguono un andamento simile, passando da quasi 98mila a poco più di 50mila in sei mesi.

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