
L’avvocato Massimo Toscano Pecorella, funzionario giuridico del Ministero della Salute, nel suo libro “Sviluppo delle Politiche Pubbliche alla luce del PNRR – tra nuove forme di partecipazione e il timore di scelte coraggiose” affronta il delicato tema della distanza che si è creata tra il cittadino e la politica, tra i decisori e i gestori della res pubblica territoriale. Ne ha parlato con noi al nuovo incontro organizzato dall’Associazione culturale Omnia Nos.
Avvocato, che nesso c’è tra il PNRR e la partecipazione dei cittadini?
Nel libro prendo in considerazione il PNRR e la partecipazione attiva in quanto nella fase di programmazione dei vari progetti che servono per raggiungere i target, gli obiettivi prefissati dal PNRR, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha creato una serie di tavoli di concertazione dove ha invitato i cittadini sotto forma di “associazione in partecipazione” per il coinvolgimento di idee e di progetti. Questi tavoli sono proseguiti per circa due anni e da questi tavoli sono uscite delle idee formidabili, bellissime e molto pratiche. Lo scopo era quello di coinvolgere il territorio attraverso anche tavoli comunali, provinciali, regionali e nazionali.
Insomma, una buona pratica da imitare come modello?
Io parto da una riflessione sul nuovo concetto di democrazia, affrontandolo anche attraverso l’analisi dell’istituto del referendum alla luce di quanto è successo ultimamente, cioè la perdita da parte dei cittadini della capacità di poter decidere del proprio destino, facendo sì che invece siano gli altri a decidere per conto nostro. Il libro, cioè, focalizza l’attenzione sulla necessità che ognuno di noi dovrebbe avere una propria agenda individuale, che possa essere la base e il presupposto per la creazione di un’agenda pubblica e, quindi, di un’agenda istituzionale. Per fare questo però bisogna riacquistare degli spazi che ormai sono stati persi. Come dicevo prima il referendum ne è una prova tangibile: pur avendo avuto la possibilità, al di là delle tematiche che trattava, di poter esercitare direttamente il concetto di democrazia, invece non l’abbiamo fatto, perché il potere decisivo ci siamo abituati a demandarlo agli altri. Questo per me è sbagliatissimo, perché fa sì che altri prendano le decisioni al posto nostro, forse in modo anche sbagliato, oppure disattendendo quelli che sono i nostri bisogni e i nostri interessi.
Nel suo libro suggerisce soluzioni per ridare fiducia nel voto e nella partecipazione?
Diciamo che secondo me la soluzione è fare in modo che quel principio di sussidiarietà previsto dall’articolo 118 si possa veramente concretizzare, ma non per facciata come ci siamo abituati a fare negli ultimi anni. Basti pensare che il codice del Terzo Settore dal 2017 fino ad oggi è stato poco concretizzato e poco conosciuto anche dagli Enti Territoriali. Invece, i cittadini devono essere protagonisti della loro vita politica, perché sono coloro che vivono il territorio e vivono i bisogni e le necessità. Quindi la soluzione è coinvolgere il mondo associativo, coinvolgere i cittadini per creare veramente una politica che sia vicina al territorio e non distante.
Come?
Lo si fa attraverso dei tavoli di concertazione continui, sia a livello comunale che provinciale e regionale. Lo si ottiene facendo una co-programmazione, una co-progettazione reale. Significa far sì che le associazioni e i cittadini partecipino con le loro idee, con i loro progetti e non vengano, invece, ad assistere ai progetti e alle idee che passano attraverso la Pubblica Amministrazione, solo rivestiti di partecipazione attiva, ma che nulla hanno di partecipato.
Con il PNRR sembrava avviato questo percorso, poi cosa è successo?
Come ho detto prima, il PNRR inizia con una serie di tavoli di concertazione con le associazioni, quindi il presupposto base si è concretizzato. Però noi siamo italiani, siamo abituati a dimenticare tutto. Invece, quello che di bello è stato fatto per creare una serie di progetti, che hanno concretizzato il PNRR e che stanno continuando a concretizzarlo, non dobbiamo perderlo, non dobbiamo avere la memoria corta.
Ma riusciremo a sfruttare a pieno l’opportunità derivante da questi fondi straordinari?
Il PNRR ha messo a dura prova il nostro territorio e io ho delle grossissime preoccupazioni per la troppa velocità, per la tempistica, per la normativa molto complessa, farraginosa, per la mancata organizzazione strutturale della Pubblica Amministrazione. Però, voglio essere fiducioso e, quindi, spero che tutto possa andare nel verso giusto e che l’Italia possa cambiare da questo punto di vista.
Se ho capito bene il PNRR poteva essere un’occasione di partecipazione, per la presentazione di progetti che rispecchiassero appunto le esigenze dei vari territori o dei vari strati sociali, industriali, produttivi. Lo è stato?
Sì, in parte lo è stato e in parte invece no, per cui dobbiamo spingere su questo versante, cioè fare in modo che anche oggi, che il PNRR è ancora in divenire, la gente si avvicini alla politica, la comprenda in senso stretto, partecipi attivamente con le idee e con i progetti e chissà che poi le cose non possano andare meglio. Perché ricordiamoci che l’Italia non finisce nel 2026, continua anche dopo,
In conclusione, il PNRR, che non doveva essere solo una soluzione estemporanea dopo il Covid, post emergenza, ma doveva costruire un sistema, portare cambiamenti strutturali, è un’occasione di modello partecipativo mancato o, in questo senso, sottovalutato?
Lo vedremo nel 2026, perché io voglio comprendere meglio quanto si è investito in investimenti, perché sono gli investimenti quelli che poi portano ricchezze da riversare sui territori in termini di servizi, e quanto si è investito in opere, ma non opere messe nel cassetto, piene di polvere. Opere che siano fra loro collegate e strutturate per il “sistema paese”.