
Una nave carica di attivisti, medicine e speranze ha messo alla prova ieri la linea dura del governo israeliano: la Madleen, veliero della Freedom Flotilla, ha continuato la sua rotta verso Gaza sfidando il blocco navale imposto da Tel Aviv. A bordo, tra i dodici attivisti, anche la svedese Greta Thunberg, l’ambientalista brasiliano Thiago Ávila e l’eurodeputata franco-palestinese Rima Hassan. Il ministro della Difesa Israel Katz ha ordinato alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di impedire alla nave di attraccare nella Striscia. “A Greta e ai suoi amici dico chiaramente: tornate indietro, non entrerete a Gaza”, ha dichiarato in una nota ufficiale, ribadendo che Israele non permetterà “a nessuno di violare il blocco navale, necessario a impedire il trasferimento di armi a Hamas”. La Flotilla denuncia intanto interferenze elettroniche sui suoi sistemi di localizzazione e comunicazione, comparse ieri mattina per circa mezz’ora e poi nuovamente durante il pomeriggio. “Stanno disturbando le nostre comunicazioni per preparare un attacco”, hanno scritto i volontari sui social, a circa 160 miglia dalla costa di Gaza. Il timore è fondato: un mese fa, un’altra imbarcazione della stessa coalizione fu colpita da un drone mentre si trovava al largo di Malta. “Non siamo soli”, scrive l’equipaggio. “Su questa barca ci sono miliardi di persone con noi!”. La campagna mediatica per proteggere la missione è in pieno svolgimento.
Gaza, 21 vittime in un giorno
Mentre la Madleen tenta di forzare il blocco, sul terreno la guerra non conosce tregua. I raid israeliani di ieri hanno provocato 21 morti nella Striscia di Gaza, secondo fonti locali. Nel nord del territorio, l’esercito ha colpito l’area di Jabalia con pesanti bombardamenti, mentre a Khan Yunis sono state diffuse immagini di un tunnel che, secondo l’Idf, si troverebbe sotto l’Ospedale europeo e sarebbe stato usato come centro di comando da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre. Nel raid del 13 maggio in quel tunnel è stato ucciso anche Muhammad Sinwar, fratello del leader di Hamas Yahya Sinwar, insieme a diversi alti comandanti. Sempre ieri, a Gaza City, un’operazione mirata ha portato all’uccisione di Asaad Abu Sharia, comandante delle Brigate Mujaheddin, accusato di aver partecipato al massacro del kibbutz Nir Oz. Hamas ha confermato la sua morte e quella del fratello Ahmed.
Un solo centro per gli aiuti
Nel frattempo, la situazione umanitaria resta critica. Il Gaza Humanitarian Fund ha fatto sapere di aver aperto solo un centro di distribuzione aiuti, a causa di minacce ricevute dal personale. Un precedente annuncio sull’apertura di due centri a Rafah è stato cancellato. In questo clima di tensione si inserisce anche la figura controversa di Yasser Abu Shabab, leader di una milizia beduina di Rafah. Secondo i media israeliani, la sua organizzazione starebbe ricevendo armi da Israele per proteggere i convogli umanitari. Abu Shabab smentisce, negando ogni contatto con Israele o l’Autorità Palestinese e dichiarando che le sue armi provengono “dalla popolazione locale”. Respinge anche ogni legame con l’ISIS.
Tel Aviv in piazza: “Ostaggi prima di tutto”
Mentre a Gaza si muore e si combatte, migliaia di israeliani si sono radunati ieri a Tel Aviv nella cosiddetta “Piazza degli Ostaggi” per chiedere al governo un accordo che garantisca il rilascio dei prigionieri israeliani ancora nelle mani di Hamas. Molti manifestanti hanno accusato Netanyahu di sacrificare la vita degli ostaggi per fini politici. “L’angelo della morte continua a usare l’esercito per proteggere il suo governo, non Israele”, ha detto Einav Zangkauer, madre di un ostaggio, dopo che Hamas ha pubblicato una foto del figlio con la scritta “non tornerà vivo”.
Tensioni anche a Gerusalemme
Nella notte, un incendio ha devastato una sinagoga nel quartiere Sanhedria di Gerusalemme. Le autorità locali parlano senza esitazioni di “atto doloso”. Libri di preghiera sono stati trovati vandalizzati e una croce dipinta su una porta vicina. Il ministro degli Interni Arbel ha chiesto allo Shin Bet di aprire un’inchiesta, definendo l’episodio “un crimine d’odio efferato”. In un episodio forse correlato, durante una manifestazione della destra davanti alla Corte Suprema, una vetrata dell’edificio è andata in frantumi. Il premier Netanyahu ha condannato “ogni forma di violenza contro le istituzioni dello Stato”, mentre il leader dell’opposizione Lapid ha accusato apertamente il governo di aver creato un clima che alimenta odio e aggressioni.