Il sistema penitenziario italiano attraversa una fase critica. È quanto denuncia l’associazione Antigone nel suo XVII Rapporto sulle condizioni di detenzione, intitolato emblematicamente ‘Senza respiro’. I dati raccolti e le analisi effettuate fotografano un carcere in affanno, segnato da numeri record di suicidi, sovraffollamento cronico, carenze strutturali e una gestione della pena che pare sempre più lontana dallo spirito rieducativo previsto dalla Costituzione. Nel 2023 si è registrato un tasso di affollamento medio del 109,7%, con punte che superano il 170% in alcune regioni. A fine anno, i detenuti erano 60.166, oltre 6.000 in più rispetto alla capienza regolamentare. L’incremento è ancora più preoccupante se si considera che il numero di ingressi in carcere è salito del 23% rispetto al 2022. Le Regioni più colpite restano la Lombardia, la Campania e la Sicilia.
Il 2023 è stato l’anno peggiore degli ultimi decenni per i suicidi in carcere: 69 detenuti si sono tolti la vita. L’incidenza è di 11,5 suicidi ogni 10.000 detenuti, quasi dieci volte superiore a quella della popolazione generale. Il dato è reso ancor più drammatico da una gestione inadeguata del disagio psichico: il 30% dei reclusi soffre di disturbi mentali, ma il personale sanitario e psicologico risulta numericamente e logisticamente insufficiente. A peggiorare il quadro contribuiscono le condizioni di isolamento: in molti casi i suicidi avvengono nei primi giorni di detenzione, spesso in celle singole.
Spazi insufficienti
Nonostante alcuni progressi registrati in singoli istituti, il monitoraggio di Antigone evidenzia strutture obsolete, celle sovraffollate, bagni senza doccia e spazi comuni spesso inutilizzabili. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti, e il rischio di nuove sanzioni è concreto. Ancora troppo diffuso è il ricorso all’isolamento, mentre si riducono le opportunità di lavoro e formazione per i detenuti. Il 66% dei reclusi non ha accesso ad alcuna attività lavorativa stabile. “Il carcere italiano – afferma Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone – è sempre più un luogo che punisce e sempre meno uno spazio in cui rieducare. La crisi che viviamo è prima di tutto identitaria: si è smarrito il senso costituzionale della pena”. Il ricorso eccessivo alla custodia cautelare (che riguarda ancora il 27% dei detenuti) e l’assenza di una politica strutturata per le misure alternative contribuiscono a congestionare un sistema incapace di rigenerarsi.
Anche il personale penitenziario è in difficoltà: mancano agenti, educatori e psicologi. La formazione è spesso insufficiente a gestire situazioni di conflitto o disagio psichico. Le aggressioni verso gli agenti sono in aumento, ma anche i casi di violenza da parte del personale verso i detenuti restano sotto osservazione. Il sistema mostra segni di sfiducia reciproca, esasperazione e disorientamento.
L’appello di Antigone
Nel Rapporto si ribadisce la necessità di un intervento riformatore profondo. Antigone chiede una riduzione strutturale del ricorso al carcere, l’aumento delle misure alternative, l’adeguamento degli spazi e l’ampliamento delle opportunità rieducative. “Non possiamo più rimandare – conclude Gonnella – occorre restituire umanità alla pena. Il carcere deve tornare ad avere un orizzonte costituzionale”.