sabato, 17 Maggio, 2025
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Cultura

“Adolescence”, tra finzione e cruda realtà

È tra le serie tv più viste perché accende un riflettore su fenomeni e sottoculture meno palesi del dark web, ma che stanno influenzando gli adolescenti della nostra epoca, evidenziandone debolezze e deliri di onnipotenza

 

“Adolescence”, la mini serie di Netflix scritta da Stephen Graham e Jack Thorne, diretta da Philip Barantini e girata con un unico piano sequenza, ha fatto molto discutere perché esplora i meandri più oscuri dell’universo degli adolescenti, rivelando zone d’ombra inquietanti, piene di fragilità, ma anche di rabbia, risentimento, voglia di riscatto e di vendetta. Si parla di disturbi dell’affettività, di depressione infantile, di cyberbullismo e di marginalità inflitte e autoinflitte. Al centro il fenomeno degli “incel”, letteralmente “celibe involontario”, persone di sesso maschili di ogni età che si sentono discriminati dalle donne e che fanno parte di una comunità online, forse ispirata a Andrew Tate, il “re della mascolinità tossica”. Una bomba innescata, facile preda dei leoni da tastiera se non di una destra estrema extraparlamentare, cui basta poco per esplodere. Per saperne di più ne abbiamo parlato con la psicoterapeuta Chiara Sorcioni, esperta dell’età evolutiva.

Dottoressa, quanto è realistico lo spaccato restituito dalla serie “Adolescence”?

La psicoterapeuta Chiara Sorcioni
La psicoterapeuta Chiara Sorcioni

Sicuramente la serie descrive uno spaccato attuale, contemporaneo e assolutamente realistico della condizione di fragilità che stanno vivendo in questo momento storico i ragazzi e le ragazze. Ce lo dice la cronaca, ma ce lo dice anche la quantità di ragazzi e ragazze che richiedono un intervento di psicoterapia o di sostegno psicologico, in crescita negli ultimi anni. La serie, con ovviamente i limiti artistici che fino a un certo punto permettono di esplorare queste tematiche, comunque prova a stimolare una serie di riflessioni non solo sulla fragilità del singolo, quindi in questo caso del protagonista, ma su una fragilità delle ultime generazione, che provano a interfacciarsi con delle tematiche di confronto sociale, che sono sia quelle del rapporto tra i generi sia quelle del rapporto tra le generazioni.

La prima domanda che viene spontanea dopo aver visto la serie è di chi è la responsabilità dei comportamenti deviati dei giovani, ossia quanto la violenza adolescenziale sia prevedibile se genitori e insegnanti non ignorassero i segnali e quanto, invece, sia sfuggente anche al controllo sociale?
Il tema della responsabilità è un terreno molto scivoloso, sia nei casi descritti dalla serie in cui è avvenuta una violenza, sia anche nei casi in cui si entra in contatto con una psicopatologia del minore, del bambino e della bambina, del ragazzo o della ragazza. Il rischio è quello di dare vita a una caccia al colpevole, cioè di domandarsi di chi sia la colpa se questo minore manifesta una tale fragilità. Non c’è mai un unico responsabile, è sempre un incastro di diversi fattori. Da una parte c’è sicuramente l’indole con cui il bambino o la bambina vengono al mondo, cioè l’assetto caratteriale, che è estremamente personale, unico, con cui si nasce; dall’altra c’è il sistema ambientale entro cui crescono che contempla le figure di riferimento, il sistema educativo, la famiglia, l’ambiente, la scuola, etc. E poi c’è quell’impalcatura di esperienze traumatiche o non traumatiche vissute o non vissute, che contribuiscono a far sì che si strutturi o meno una difficoltà nel tempo. In questo caso, tenendo a mente questo sistema complesso, più che parlare di prevedibilità del fatto, forse ci sarebbe da interrogarsi se su qualche livello è venuto a mancare il sistema protettivo che fa sì che ci siano degli adulti a mediare e a filtrare quello che viene dal mondo esterno, ma che su Internet è di facilissimo accesso da parte dei minori di qualsiasi età. In particolare, prendendo ad esempio ciò che accade nella serie, la partecipazione a questi gruppi, l’esposizione sui social, la facilità con cui è possibile essere esposti a commenti e interazioni non ha facilitato il processo evolutivo del protagonista, ma anzi gli ha permesso di esprimere, attraverso delle modalità estremamente violente e negative, un conflitto interno che invece probabilmente, se sostenuto e accompagnato, avrebbe potuto svilupparsi in altra maniera.

Ma alla fine il protagonista Jamie accusato di omicidio e tutti gli adolescenti che si macchiano di crimini di genere, come Turetta, devono essere considerati dei “mostri” o ragazzi fragili influenzati da fattori esterni?
Di per sé la valutazione dello stato della mente dell’adolescente è qualcosa di molto complicato, perché il ragazzo o la ragazza sono in fase di costruzione e individuazione di diverse parti di sé. Farlo, inoltre, sulla base dei dati emersi in una serie TV è molto azzardato. É certo, però, che al di là della definizione di mostro o meno bisogna considerare che le fragilità del singolo non possono essere considerate delle deresponsabilizzazioni rispetto al reato compiuto. In questo caso sembrerebbe che si assista – sottolineo sembrerebbe perché, appunto, parliamo sempre di una descrizione romanzata e, quindi, poco ‘definita’ in termini psichiatrici – a un atto violento compiuto in una condizione di lucidità e non in una condizione di alterazione della coscienza o di non contatto con la realtà. C’è da chiedersi, però, quali siano gli altri fattori di cui parlavo prima, che hanno contribuito alla decisione di Jamie, perché il responsabile ultimo si può considerare chi ha compiuto il fatto, ma – come anche questa serie mette in luce – questo genere di comportamenti sembra il riflesso di qualcosa di molto fragile anche da un punto di vista sociale.

Entriamo nel mondo degli incel, spesso associati on line anche ai redpilled per la comune frustrazione legata alle relazioni sentimentali e le ideologie misogine e antifemministe. Quanto sono solo farneticazioni in rete e quanto, invece, corrispondono a un reale disagio e convincimento?
Io non credo esistano “farneticazioni” in rete che non abbiano a che fare con qualcosa che avviene in profondità sia nell’individuo sia nella comunità, nel senso che mi sembra che quello che stia avvenendo online sia il riflesso del vissuto di sconforto, solitudine e irrequietezza che i ragazzi e le ragazze stanno manifestando. Sembrerebbe che sentano di poter trovare online un riconoscimento maggiore rispetto a quello fornito dal mondo reale. Che siano, cioè, estremismi di gruppi in rete (in questo caso gli incel, ma come in numerosi altri con contenuti razzisti, misogeni, violenti, etc.), catalizzatori di un rispecchiamento dei moti interni, notoriamente polarizzati ed esplosivi, dell’adolescente?

Quando questo disagio può trasformarsi da “sentito” ad “agito”, sfogando la propria frustrazione attraverso la violenza?
Il passaggio tra il sentito e l’agito avviene quando non è stato interiorizzato il senso del limite, che è quello che si costruisce nell’arco della vita e ha a che fare con l’interiorizzazione dell’autorità e di un terzo che garantisca la stabilità delle regole. Nella serie sembrerebbe che il protagonista e gli altri adolescenti non siano riusciti a farlo, lasciando intendere una certa fragilità delle figure di riferimento che forse, come generazione di adulti degli ultimi anni, sembra confondersi tra il rifiuto di risultare autoritaria e il rischio di perdere autorevolezza.

Perché Jamie, il protagonista, si infuria per le emoji che lo riguardano condivise in rete dalla ragazza che poi ucciderà per questo?
L’emoji è un simbolo che rappresenta un significato. In questo senso per l’adolescente è fondamentale sentire che esiste un linguaggio condiviso con i propri pari che è criptato e non comprensibile a uno sguardo esterno, a uno sguardo adulto. Il fatto che ci sia stato un “commento” comprensibile solo dai suoi pari ha avuto una risonanza ancora maggiore, perché lo sguardo dei coetanei è di per sé fondamentale per crescere. È in questo periodo che gli adolescenti decidono come vestirsi, scelgono per sé le connotazioni del proprio aspetto, che poi, non a caso, spesso è molto simile a quello del gruppo, con cui cercano caratteristiche comuni. Lo ripeto, un commento online sotto lo sguardo di tutti ha una risonanza amplificata. Immaginare di avere un pubblico così importante e nello stesso tempo vasto implica risonanze emotive impetuose.

Il protagonista, soprattutto durante i colloqui con la psicologa, alterna debolezza ad aggressività. Anche questo rientra nel quadro dei disturbi emotivi o si entra in un quadro psichiatrico più complesso?
Come già detto è molto difficile fare un inquadramento diagnostico dello stato della mente di Jamie sulla base dei pochi dati che vengono pian piano a delinearsi nel corso delle puntate della serie. É certamente qualcosa di piuttosto tipico in adolescenza l’alternanza dell’umore dovuto in parte a una questione ormonale, in parte a quella conflittualità interna di cui parlavamo prima, che è proprio tipica di questo stadio evolutivo. L’oscillazione nel protagonista è, dunque, un oscillazione tipica dell’adolescente. Direi che un’alfabetizzazione emotiva, e quindi una comprensione maggiore delle proprie emozioni da parte dei ragazzi e delle ragazze, può aiutare a non sentire queste emozioni negative come qualcosa di nemico, ma come qualcosa che fa parte del normale sviluppo tipico della persona, senza negarle, ma piuttosto integrandole nella vita quotidiana, evitando che si creino poi delle situazioni di eccesso.

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