È un Papa che non ha alzato la voce per gridare, ma per invocare. Non lo fa per imporsi, ma per sperare. E oggi, nel giorno in cui il Giubileo delle Chiese Orientali ha riempito Roma, Leone XIV si è presentato come testimone e custode di un’urgenza: la pace: “La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere”, le sue prime parole. “Impiegherò ogni sforzo per diffondere la pace”, ha promesso il Pontefice, tracciando così una direzione netta per il suo pontificato. Il suo pensiero, rivolto ai rappresentanti delle Chiese Orientali, ma indirizzate al mondo intero, non sono slogan. Sono un programma pastorale e politico insieme, che attraversa le trame della spiritualità orientale e le ferite della geopolitica mondiale.
Un grido che nasce dalla fede
“Cristo è risorto. È veramente risorto!”: è con queste parole che Leone XIV ha proseguito il suo discorso. Ma non è solo una formula pasquale. È la dichiarazione di un fondamento: la pace, per il Papa, non è un’utopia da trattato, ma una realtà da risurrezione. Il suo appello non nasce dal pragmatismo, ma dalla fede. E non si tratta di un’astrazione spirituale: la pace, ha detto, “è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare”. Ecco, allora, che nel cuore del suo discorso torna il volto dei giovani massacrati in nome della conquista militare. Non statistiche, non pedine geopolitiche, ma vite, storie, sogni interrotti. “Dovrebbero provocare sdegno”, ha detto il Papa con fermezza, “perché a morire sono le persone”. In questa denuncia si intrecciano memoria e profezia, compassione e responsabilità. E si fa strada un’idea potente: non c’è pace possibile senza uno sguardo umano sulla vittima. La pace è persona.
La Chiesa che non tace
“Tacciano le armi”. È un refrain che ha attraversato tutto il messaggio del Papa, come un ritornello che non si stanca di ripetersi. Non è la prima volta che lo ha pronunciato, ma stavolta ha il sapore della scelta fondativa. La Chiesa, ha promesso, “non si stancherà” di ripeterlo. E a chi nel mondo prega e soffre in silenzio, Leone XIV dice grazie: “Per quanti nel silenzio, nella preghiera, nell’offerta cuciono trame di pace”. La metafora del cucire è emblematica: la pace, per questo Papa, è tessuto lento, artigianale, fragile ma reale. E richiede mani, non solo parole. A testimoniarla, ci sono soprattutto le Chiese Orientali: “martiriali”, le ha definite citando Francesco. Perché lì, dove la fede cristiana è nata, la pace è continuamente tradita. Eppure, proprio lì, continua a germogliare. “Vi prego, ci si impegni per questo!”, ha chiesto con forza, rivolgendosi alla comunità internazionale: i cristiani devono avere la possibilità di rimanere nelle loro terre “con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura”.
Una diplomazia del cuore
Nel mondo degli incontri interrotti e delle trattative fallite, Leone XIV ha rilanciato una diplomazia che parte dalla coscienza. “La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi”. È un invito diretto, che non si perde in formule ambigue: dialoghiamo, negoziamo, incontriamoci, ha detto ai responsabili dei popoli. “La pace di Cristo”, ha ricordato, “non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita”. E poi l’appello che rovescia le logiche belliche: “Passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime”. In un tempo in cui la propaganda divide il mondo in buoni e cattivi, Leone XIV ricorda che gli altri non sono nemici, ma esseri umani. È qui la svolta: superare il manicheismo, le narrazioni semplicistiche, le ideologie dell’odio.
Spiritualità che guarisce
Ma il discorso di Leone XIV non è stato solo un’accusa alla guerra. È anche, e forse soprattutto, una esaltazione della speranza. È la speranza che viene dall’Oriente cristiano, da quelle liturgie che “cantano la bellezza della salvezza” e da quelle spiritualità che uniscono il pianto al pentimento, la miseria alla misericordia. “Le vostre spiritualità, antiche e sempre nuove, sono medicinali”, ha detto il Papa. Non ornamentali, ma curative. Per un mondo malato di violenza, l’Oriente offre il balsamo della contemplazione, della sobrietà, della divinizzazione dell’umano. È un appello anche all’Occidente: non dimenticate il primato di Dio. Non lasciate che la fede diventi utilitarismo. “È fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle”. Il rischio, per chi arriva in Occidente da terre in guerra, è doppio: perdere la patria e insieme la propria anima. Ma Leone XIV chiede che le Chiese locali sappiano accogliere l’Oriente nella sua ricchezza, non assimilarlo alla propria misura.
Infine, il Papa si è rivolto direttamente ai Pastori: “Si curi la trasparenza nella gestione dei beni, si dia testimonianza di dedizione umile e totale al santo popolo di Dio”. È un richiamo alla sobrietà e alla verità, una riforma che parte dal cuore e si fa stile. Niente orpelli, niente potere, niente immagine.
L’incontro con Sinner
Da segnalare poi che sempre oggi Papa Leone XIV ha ricevuto in Vaticano Jannik Sinner, numero 1 del mondo e orgoglio del tennis italiano. Con lui, anche il Presidente della Fitp Angelo Binaghi. Il Pontefice, noto per la sua passione per il tennis, ha accolto calorosamente Sinner, complimentandosi per la vittoria del giorno precedente contro l’argentino Cerundolo. “Hai vinto”, ha esordito Leone XIV. “Ci siamo riusciti, all’inizio del torneo era difficile”, ha risposto il campione altoatesino, sorridendo. Il clima disteso ha lasciato spazio anche a un simpatico siparietto. Sinner ha donato al Papa una racchetta e una pallina, invitandolo ironicamente a scambiare qualche colpo: “Vuole giocare?”. Pronta la replica del Pontefice: “Lasciamo stare, qui meglio di no. A Wimbledon mi lascerebbero”.
L’incontro si è concluso con le foto di rito, alle quali hanno partecipato anche i genitori del tennista, Hanspeter e Siglinde.