A quasi un mese dai referendum dell’8 e 9 giugno, le tensioni politiche sull’opportunità di recarsi alle urne si stanno rivelando più accese che mai. Gli italiani sono chiamati a esprimersi su cinque quesiti relativi principalmente al mercato del lavoro e alla disciplina della cittadinanza. In particolare, si discute l’abrogazione di alcune norme cardine del Jobs Act – tra cui l’articolo 18 e i vincoli al contratto a termine – e la riduzione, da dieci a cinque anni, del periodo di residenza necessario per ottenere la cittadinanza. Una circolare interna, secondo quanto riportato da Repubblica, invita i parlamentari di FdI a far sapere ai loro elettori che il miglior modo per “protestare” contro un’iniziativa promossa “dalla sinistra” sia non presentarsi alle urne.
A margine di un convegno, il Vicepremier e leader di FI Antonio Tajani ha confermato questa linea: “Non abbiamo niente da condividere con i quesiti referendari; il nostro è un astensionismo di natura politica. Chiara indicazione: non andate a votare”.
La reazione
Sul fronte opposto, la reazione del Centrosinistra è stata immediata e dura. “Invitare i cittadini a restare a casa è un atto gravissimo”, dichiara il Deputato del Pd Arturo Scotto, che parla di “un segnale di profonda cultura antidemocratica”. Per Scotto, il gesto dimostra “la paura di misurarsi con la volontà popolare” e finisce per svilire il valore stesso del voto, sancito dalla Costituzione come fondamento della democrazia. Ancora più pungente è l’intervento di Riccardo Magi, Segretario di +Europa e presidente del comitato promotore del referendum sulla cittadinanza. Secondo Magi, “in un Paese in cui l’astensionismo supera ormai il 50%, dopo l’appello del Presidente Mattarella per incentivare la partecipazione, Tajani compie un gesto illiberale e vergognoso”. E rilancia: “Su Ius Scholae – l’iniziale proposta di legge sul diritto di cittadinanza attraverso il percorso scolastico, poi trasformatosi in Ius Italiae – il Ministro avrebbe dovuto spiegare che fine ha fatto la riforma, anziché deridere il voto come strumento di cambiamento”. Sul passato recente non manca il richiamo all’episodio del 2011, quando l’allora premier Berlusconi, dopo un iniziale invito all’astensione sui referendum sull’acqua pubblica, dovette fare marcia indietro di fronte all’ondata di partecipazione.