Da qualsiasi lato la si osserva l’escalation dei dazi sono un problema di difficile soluzione. In più come segnala il rapporto di Confindustria il tema è in “continua evoluzione”. Sotto la lente della Associazione degli industriali ci sono le mosse degli Stati Uniti, quelle della Cina, dell’Europa e, naturalmente, le prospettive per l’Italia.
“Il presidente Trump ha sospeso fino al 9 luglio i dazi “reciproci” imposti a un ampio gruppo di paesi (al 20% per l’UE). Restano in vigore però le tariffe del 10%, dal 2 aprile, su gran parte degli acquisti USA dall’estero”, evidenzia il Centro Studi Confindustria, “Sono esclusi, per il momento, alcuni prodotti strategici (farmaceutici, rame e semiconduttori, alcuni minerali, energia) e parte dei beni da Canada e Messico. Viceversa, sono colpiti da dazi al 25% tutti gli acquisti USA di acciaio e alluminio e quelli di autoveicoli e componenti (dal 3 maggio)”.
Le barriere tra USA e Cina
Altro tema spinoso è che desta preoccupazioni ed incertezze è il rapporto tra America e Cina.
“Le barriere tra Stati Uniti e Cina hanno raggiunto livelli record: 145% sui beni cinesi, 125% su quelli americani”, ricorda Confindustria, “Aumentano anche le barriere non tariffarie: la Cina ha interrotto l’export di terre rare e l’import di Boeing. Nel complesso, l’aumento dei dazi è stimato pari a circa il 28% sull’import USA, maggiore di quello dello Smoot-Hawley Act del 1930 (dal 13% al 20%), che generò una guerra commerciale mondiale”.
L’impatto sull’economia USA
Per Confindustria i rischi di una situazione controversa non saranno di facile situazione.
“I dazi sono una tassa applicata su una parte consistente degli acquisti USA di beni di consumo, intermedi e di investimento (l’import di beni è pari all’11,3% del PIL e al 38,3% della produzione industriale)”, spiega la Confederazione, “spingono in alto i prezzi e frenano la domanda interna. L’incertezza sulle politiche USA, ai massimi, riduce la fiducia degli operatori e genera volatilità sui mercati finanziari. La quotazione dell’oro, bene rifugio per eccellenza, è cresciuta del 21,7% finora nel 2025 rispetto al 2024”. Al contrario il “dollaro si è deprezzato del 5,6% sull’euro in metà aprile (da 1,08 a 1,14), amplificando l’impatto dell’inflazione importata”.
Commercio mondiale stagnante
Il primo sintomo di un regresso è il pericolo di “stagnazione”.
“Un’elevata incertezza globale di politica economica (+80% nel 2025 sul 2024) frena l’attività commerciale e di investimento delle imprese all’estero”, osserva Confindustria, “Aspettative di minore domanda globale sono incorporate anche nel recente calo delle quotazioni delle commodity”. Secondo stime del Centro Studi Confindustria, “il commercio mondiale è atteso ristagnare nel biennio 2025-2026 (-2,0/2,5 punti percentuali rispetto alle previsioni di primavera), in assenza di ulteriori spirali negative sui mercati finanziari internazionali. Inoltre, il sostanziale disaccoppiamento tra il maggiore importatore globale (negli USA il 13,1% dell’import mondiale nel 2023) e il primo esportatore (dalla Cina il 14,2% dell’export) determinerà una profonda ricomposizione delle filiere globali, con una perdita di efficienza e maggiori costi di produzione”.
I canali di trasmissione alle economie UE. In prospettiva, analizza Confindustria, un crollo delle quote cinesi nell’import USA (già a 13,3% nel 2024, da 21,5% nel 2017) può favorire le vendite europee, in un mercato però debole e più chiuso agli scambi con l’estero. “Peraltro, nel caso dei dazi nel 2018-2019 (Trump I) i maggiori beneficiari sono stati altri paesi in Asia (Vietnam) e America (Messico), anche per strategie di triangolazione e rilocalizzazione produttiva degli esportatori cinesi”, fa presente il Centro Studi Confindustria, “Inoltre, la sovraproduzione cinese sarà ridirezionata verso il resto del mondo: in Europa saranno necessarie misure di salvaguardia e antidumping per frenare, parzialmente, una pressione competitiva deflazionistica. Infine, il rischio maggiore, nel medio-lungo periodo, è la perdita di capacità produttiva in Europa, attraverso lo spostamento di fasi produttive negli Stati Uniti”
Profonde le connessioni italiane
L’impatto su scambi ed economia italiana sarà notevole.
“Gli Stati Uniti sono la prima destinazione extra-UE di beni, servizi e IDE italiani. Detengono il primato sia come localizzazione delle imprese industriali controllate da quelle italiane, che come paese di provenienza di multinazionali in Italia”, ricorda il Centro Studi Confindustria, “Il manifatturiero genera la quasi totalità dell’export italiano negli USA, pari a più di un decimo delle vendite manifatturiere all’estero (10,8%). Secondo stime del CSC, le vendite negli USA attivano, direttamente e indirettamente, quasi il 7% della produzione manifatturiera italiana (circa 90 miliardi di euro). I settori più esposti sono farmaceutico, autoveicoli, macchinari”.
Impatto sulla crescita italiana
In base a una simulazione del Centro Studi Confindustria, “dazi e incertezza causeranno una minore crescita di -0,3% del PIL italiano nel 2025-2026, a causa di una più bassa dinamica dell’export di beni (-1,2%) e degli investimenti in macchinari (-0,4%). È da evitare una ritorsione tariffaria UE sugli acquisti dagli USA, che impatterebbe sui prezzi e sulla fiducia di famiglie e imprese, con un’ulteriore frenata del Pil. Cruciale, invece”, fa infine presente Confindustria, “concludere nuovi accordi commerciali UE con altri importanti partner economici (Mercosur, India)”.