Negli ultimi due anni in Sudan si sta consumando una atroce guerra civile senza fine, in drammatica continuità con i precedenti conflitti che devastano il Paese da decenni. Si parla di una delle peggiori catastrofi umanitarie mai avvenute, forse troppo a sud del mondo per suscitare attenzione, ma che continua a decimare la popolazione e a produrre sfollati. Lo stesso Pontefice nell’Angelus ha più volte pregato affinché si continui a “invocare il dono della pace” per il Sudan. Su questa emergenza sono intervenute anche le associazioni umanitarie. “Chiediamo al Governo italiano – sono le parole di Paolo Impagliazzo, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio, durante una conferenza stampa organizzata alla Camera dei Deputati per accendere un riflettore su questa emergenza umanitaria -, visto l’impegno verso l’Africa attraverso il Piano Mattei, uno sforzo per la ripresa dei negoziati per porre fine al conflitto, garantire l’accesso della popolazione agli aiuti umanitari e continuare l’accoglienza di famiglie vulnerabili in fuga dalla guerra attraverso i corridoi umanitari”.
In questo momento la metà dei 50 milioni di abitanti risulta essere a rischio di grave insicurezza alimentare. “La gente soffre la fame – prosegue Impagliazzo -: c’è assoluto bisogno di portare cibo e medicine e si riscontra un gravissimo stato di malnutrizione tra i bambini. E’ necessario favorire l’accesso degli aiuti umanitari e far sì che i donatori si impegnano a finanziarli”. Con la sospensione degli aiuti da parte dell’Usaid (l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale) la situazione è peggiorata, con una riduzione dei fondi del 77%. “E’ essenziale rilanciare” le trattative, “mettere l’esercito e le milizie a un tavolo per cessare le ostilità”, ha spiegato il segretario generale di Sant’Egidio, augurandosi che sia possibile creare un corridoio umanitario, per esempio attraverso il Ciad, che dall’inizio del conflitto, secondo dati Onu di qualche giorno fa, ha già ospitato 930.000 sudanesi.
Il valico di André fra il Ciad e il Sudan è stato riaperto a novembre scorso, ma, secondo Impagliazzo, “gli aiuti umanitari non riescono ad arrivare in tutte le località del Darfur, quindi c’è bisogno di implementatori per rendere più efficace il loro trasporto anche nelle zone facilmente raggiungibili”.
A fine febbraio i team di Medici senza Frontiere hanno dovuto sospendere le attività nel campo per sfollati di Zamzam, nel Nord Darfur, a causa dell’intensificarsi degli attacchi. Lì, dove l’estate scorsa è stata dichiarata la carestia, oggi 500.000 persone sono senza assistenza umanitaria necessaria. “L’80% delle strutture sanitarie è in una condizione di non funzionamento – ha dichiarato Marco Bertotto, direttore dei programmi di Msf – per una strategia deliberata delle parti coinvolte nel conflitto per avere vantaggi militari e un utilizzo strumentale degli aiuti o della limitazione di essi”. Tutto ciò “diventa così un’arma di guerra, con conseguenze dirette sulla popolazione civile: un sudanese su due oggi vive una situazione di insicurezza alimentare e un sudanese su cinque è costretto ad abbandonare la propria casa”.
Il Parlamento europeo si dovrebbe pronunciare a breve partendo dagli stupri di guerra su donne e minori. L’eurodeputato Marco Tarquinio, in videocollegamento alla conferenza stampa da Strasburgo, ha sottolineato come anche la crisi in Sudan sia il frutto di un mondo “che stiamo inzeppando di armi”. L’ex direttore di “Avvenire” ha, poi, voluto ricordare quanto riportato dal quotidiano statunitense “The Washington Post”, secondo cui l’industria della difesa turca avrebbe costruito relazioni con entrambe le parti del conflitto in Sudan, inviando armi nel Paese africano in violazione alle sanzioni Usa e Ue.
Dice Padre Jorge Naranjo, direttore del Collegio comboniano di scienza e tecnologia, al momento a Port Sudan, che in questo momento tutti i belligeranti “trovano finanziamenti” attraverso lo sfruttamento e il commercio illegale dell’oro, “che si usa per comprare le armi: questo conflitto sta arricchendo altri. Sono ben conosciute e documentate le rotte dei traffici”. Il missionario ha anche richiamato l’attenzione sull’emergenza educativa: “Dieci milioni di bambini sono rimasti senza scuola e l’87% degli studenti universitari ha dovuto lasciare gli atenei, resi inaccessibili dal conflitto”.
Migliaia i bambini uccisi o feriti nella guerra del Sudan. La violenza sessuale e il reclutamento sono in aumento. E la situazione è ancora più grave laddove la presenza umanitaria continua a essere negata. A denunciarlo è l’Unicef. Cinque milioni di bambini sono stati costretti a fuggire dalle loro case – una media impressionante di 10.000 bambine e bambini sfollati ogni giorno – rendendo il Sudan la più grande crisi di sfollamento infantile al mondo. Molti di loro hanno dovuto farlo più volte.
Perché non cada tutto nel più crudele silenzio e rompere l’indifferenza dei media e dell’opinione pubblica, il 15 aprile prossimo a Roma, Baobab Experience insieme a Medici senza Frontiere hanno organizzato uno spazio aperto per ascoltare dalla viva voce dei profughi e delle famiglie e dagli amici dei rifugiati ancora bloccati in Sudan il vero racconto di ciò che sta avvenendo là.