Anziani soli, caduti in depressione e, purtroppo, un numero crescente di suicidi. Così come sia possibile invertire la rotta con un piano per la terza età che fa fatica ad essere organizzato e realizzato. Temi e problemi sono stati discussi durante il 25° Congresso dell’Associazione italiana di Psicogeriatria, organizzato a Padova. A illustrare il quadro di una situazione difficile è stato Diego De Leo presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP) che ha sottolineato, in una relazione pubblicata sul Sole 24 ore le criticità del vivere la terza età e tutto ciò che spinge ai margini gli anziani. Solitudini che innescano non solo depressioni ma anche demenze e malattie.
Discriminazione ed età
Il presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria evidenzia come: “solitudine e ageismo, cioè la discriminazione basata sull’età, innescano un processo che porta alla depressione. I suicidi degli anziani sono infatti il 37% di quelli totali, sebbene gli anziani rappresentino il 24% della popolazione generale. Il fenomeno riguarda soprattutto gli uomini, le città e le persone con più di 80 anni”, osserva Diego De Leo,
In Italia tasso di solitudine doppio rispetto alla Ue
L’Italia si conferma un Paese particolarmente difficile per gli anziani, non solo a causa delle patologie fisiche, ma soprattutto per il peso della solitudine. Un fenomeno che comporta gravi conseguenze sulla salute mentale e fisica. La solitudine è spesso preludio della depressione, che aumenta il rischio di altre patologie e di suicidio. Il tasso di solitudine è il doppio rispetto alla media dei Paesi europei: coloro che non hanno nessuno a cui chiedere aiuto sono il 14%, mentre chi non ha nessuno a cui raccontare cose personali il 12%, a fronte di una media europea del 6,1% (dati Eurostat). La solitudine non è solo un problema sociale, ma anche clinico, essendo associata a un aumento del rischio di depressione, di disturbi del sonno, di demenza e malattie cardiovascolari”.
Demenza, raddoppio dei casi
Nella relazione si evidenziano anche i ritardi sociali con cui si affrontano i problemi. “I determinanti sociali, ossia i fattori che influenzano la salute come le condizioni economiche, abitative e relazionali”, fa presente De Leo, “incidono notevolmente sulla salute degli anziani, nonostante siano giunti tardivamente all’attenzione dei clinici e siano ancora troppo spesso trascurati. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’impatto dei determinanti sociali è pari se non superiore alle cure mediche. Quindi, non tenere in considerazione queste condizioni rappresenta un grave rischio per le persone”.
Solitudine, una epidemia sociale
Per il presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria “la solitudine è un’epidemia sociale che aumenta il rischio di demenza del 50% e la premortalità del 30%. Il suo impatto è paragonabile al tabagismo cronico e all’obesità”.
Italia senza linee guida
Alcuni Paesi si sono dotati di strumenti come Linee Guida o raccomandazioni per affrontare questa realtà. “In Italia non vi è ancora un approccio definito, nonostante sia il Paese più vecchio al mondo dopo il Giappone”, puntualizza De Leo, “Diversi elementi concorrono a peggiorare la situazione: tra questi, oltre all’ageismo, lo spopolamento dei centri storici, la chiusura dei negozi di prossimità, il proliferare delle truffe agli anziani. Questi elementi innescano un processo di svilimento che porta alla depressione e spesso al suicidio: i suicidi degli anziani sono infatti il 37% di quelli totali, sebbene gli anziani rappresentino il 24% della popolazione generale. La ragione di questo dato risiede nel fatto che i nostri anziani sono tra i meno “considerati” al mondo. Questo fenomeno riguarda soprattutto gli uomini, le città e le persone con più di 80 anni: in queste sottopopolazioni la frequenza di suicidi ha raggiunto livelli intollerabili. Il suicidio di una persona anziana è anche un segno tremendo per un giovane, il quale non riceve un messaggio di resilienza ma di arrendevolezza”.
Perdita di sonno e incubi
I primi sintomi delle conseguenze di una marginalità sociale dell’anziano sulla psiche possono emergere dai disturbi del sonno e dalla maggior frequenza di incubi, che può a sua volta favorire lo stato depressivo. “Circa il 20% dei bambini e il 6% degli adulti hanno incubi frequenti”, rileva il presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, “Gli incubi persistenti che interferiscono con la vita quotidiana possono essere diagnosticati come ‘disturbo da incubi’, una condizione di salute mentale in cui gli incubi frequenti e stressanti possono rendere difficile affrontare la giornata. La frequenza degli incubi aumenta con l’età: la prevalenza è di oltre tre volte superiore tra coloro che hanno più di 70 anni (6,3%) rispetto agli adulti tra i 50 e i 70 anni (1,8%). È stata riscontrata anche un’associazione con ideazione suicidaria, depressione e stress. Esiste una forte correlazione tra incubi e rischio di suicidio: gli individui con incubi frequenti hanno maggiori probabilità di tentare il suicidio e di adottare comportamenti autolesionistici”.
Alzheimer, una sfida
Proprio questi progressi, con risultati in continuo divenire, pongono però anche sfide etiche e sociali. In Italia, oltre un milione di persone è affetto da demenza; circa il 60% proprio da Alzheimer. “Negli ultimi anni sono state analizzate le prime alterazioni neuropatologiche, che si verificano già 15-20 anni prima dell’insorgenza dei sintomi veri e propri, con disturbi di memoria, al linguaggio, difficoltà funzionali”, ricorda De Leo, “Si verifica un aumento del tasso di proteina beta-amiloide a cui segue l’alterazione della proteina tau. Le nuove ricerche sui biomarcatori dell’Alzheimer mettono in luce segnali precoci che possono indicare la successiva insorgenza della demenza. Per rilevare questi indicatori si utilizza una puntura lombare che preleva il liquido cefalorachidiano, il quale circonda il sistema nervoso. Oggi, però, è possibile effettuare analisi dei biomarcatori anche tramite un semplice esame del sangue, rendendo il test più accessibile e potenzialmente utilizzabile su soggetti ancora asintomatici. Sapere con 20 anni di anticipo se si possa sviluppare l’Alzheimer potrebbe rappresentare un progresso straordinario, ma anche un dilemma etico. È la prospettiva su cui sta lavorando la comunità scientifica. Da una parte sono stati scoperti alcuni biomarcatori identificabili anche con un semplice prelievo di sangue, dall’altra, alcuni anticorpi monoclonali permettono di rallentare il decorso del declino cognitivo”.
Nuove ricerche e nuovi problemi
Il progresso, spiega De Leo, “comporta nuove sfide anche organizzativi”. “Gli interrogativi sono numerosi: quali persone sottoporre a tali analisi; quando, in che misura, con che progressione si verificherà la malattia”, sottolinea, “Serve pertanto molta cautela sia da parte degli operatori sanitari che del pubblico. A parte i problemi etici e organizzativi, i farmaci proposti e non ancora sul mercato italiano sono costosi e con effetti collaterali. Questi nuovi anticorpi monoclonali”, spiega ancora il presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, “possono rallentare la progressione della malattia, ma non e’ chiaro se siano in grado di bloccarla del tutto. Possono comunque portare a un rallentamento del 20-30%, ma non si sa ancora se solo il primo anno o anche negli anni successivi. Comunque”, conclude Diego De Leo”, si stima che solo il 10% dei pazienti (con demenza lieve) potrà giovarsi di questi farmaci, lasciando fuori dunque un’ampia maggioranza”.