Il Sottosegretario agli Affari Esteri e alla Cooperazione internazionale, al convegno sui percorsi evolutivi per la difesa comune organizzato da Omnia Nos, in una intervista a La Discussione ha spiegato come investire nel settore possa rappresentare una opportunità per l’economia nazionale e l’occupazione italiana. Oltre che per la sicurezza e la deterrenza
Sottosegretario Silli, secondo lei i tempi sono maturi per parlare di una difesa comune europea?
Nella storia dell’integrazione europea la difesa comune fu una delle primissime intuizioni, insieme alla Politica agricola comune di fine Anni ‘50. Si era quasi arrivati a un accordo sul tema. Solo che, se non ricordo male, fu proprio de Gaulle, uno dei proponenti, che alla fine ci ripensò, tolse la sua disponibilità e dal momento che era necessaria l’unanimità, cadde sostanzialmente tutto. Sono passati decenni, chiaramente la difesa è cambiata, la tecnologia si è sviluppata, ora non è sicuramente una cosa semplice, ma è necessaria e auspicabile, come non è semplice nessuna scelta all’interno dell’Unione europea. Siamo popoli con storie e culture diverse, abbiamo sicuramente la stessa radice, ma per arrivare, come dire, a un modus operandi realmente comune e a una armonizzazione, soprattutto in ambito difesa, sarà necessario del tempo, ma è un obiettivo che dobbiamo porci e che dobbiamo raggiungere per forza. Ci voglia un anno o ce ne vogliano 10.
Ma la prudenza italiana rispetto all’attivismo di Regno Unito e Francia non ci fa rischiare di essere un po’ emarginati rispetto alle potenze europee?
Al di là dei Governi che si sono susseguiti nella storia repubblicana d’Italia, la tradizione in politica estera del nostro Paese è sempre stata un po’ più ‘prudente’ e un po’ più da Paese mediatore per certi versi, quindi Io credo che sia assolutamente giusto così. Poi, insomma, stiamo parlando di due Paesi che si sono contraddistinti anche nella storia per determinazione in certe aree e su certi argomenti, soprattutto per quanto concerne la difesa. Io credo che la Presidente Meloni si stia muovendo veramente benissimo ed è un motivo di grande orgoglio essere membro del Governo italiano e trovarsi in questo momento epocale dove veramente sta cambiando il mondo.
Rispetto al meccanismo predisposto dalla Commissione europea sul riarmo degli eserciti basato in parte su un finanziamento e in quota parte, invece, su un aumento del debito pubblico, non avendo tutti i Paesi dell’Unione lo stesso debito pubblico, questo non rischia di creare delle disparità?
Sicuramente disparità all’interno dell’Europa ci sono, ci sono sempre state. Spero che vadano diminuendo, ma per adesso continuano a esserci. Esiste addirittura un dumping interno europeo per il manifatturiero. In Italia il manifatturiero leggero ha avuto un calo negli ultimi 3-4 decenni a favore del manifatturiero di quei Paesi arrivati negli ultimi tempi all’interno dell’Europa, quindi è chiaro che esiste sicuramente la necessità di armonizzare per quanto concerne il debito pubblico. È una palla al piede che noi ci portiamo dietro. Abbiamo un debito pubblico enorme, però le spese in difesa, come ho avuto modo di ribadire anche al ministro Crosetto, hanno un moltiplicatore keynesiano, è come se fosse un’iniezione di denaro pubblico all’interno del sistema. E’ come costruire una ‘infrastruttura’. Noi siamo un Paese grande esportatore di tecnologia per la difesa. Non importiamo il 100% della tecnologia, al contrario la produciamo in Italia e la esportiamo. Quindi aumentare il debito e iniettare nel sistema denaro pubblico per acquistare beni, soprattutto prodotti in Italia, tecnicamente dovrebbe riattivare addirittura l’occupazione e l’economia stessa. Quindi, diciamo che l’equazione non è quella ‘spendere per la difesa uguale fare debito’ che non ti rientrerà mai più. Non è così. Al contrario, spendere in difesa vuol dire iniettare soldi all’interno del sistema, il quale aumenta il valore della produzione, aumenta i posti di lavoro e redistribuisce per certi versi questo reddito.
Nella stessa ottica, considerato il massiccio riarmo tedesco, anche un rafforzamento della cooperazione industriale con la Germania, con la quale già collaboriamo in questo campo, potrebbe rappresentare una opportunità per l’Italia?
Si, senza dubbio. I nostri partner europei, i nostri vicini di casa, sono da sempre partner anche in progetti o programmi di difesa. Quindi, sicuramente sì. Ribadisco quello che ho detto prima, è veramente un momento epocale dove se è vero che andiamo verso una difesa comune è altrettanto vero che dobbiamo andare verso, non dico una produzione di tecnologia per la difesa comune al 100%, ma una intensificazione della collaborazione che già in certi casi sta compenetrandosi. Mi viene in mente l’accordo tra Leonardo e l’azienda tedesca Rheinmetall, che ha uno stabilimento anche qua a Roma, sulla Tiburtina. Insomma, a mio avviso ci sono tante possibilità, al di là del battage politico e del gioco delle parti su difesa, armi, etc. Bisogna guardarsi negli occhi, tutti noi sogniamo un mondo senza armi, ma come ha detto la Presidente del Consiglio, a meno che non si pensi a un grande pianeta di hippie e ci si basi sulla buona fede dei nostri vicini, è chiaro che dovremmo acquistare deterrenza e, quindi, armamenti e difesa. Difesa non attacco. Il nostro ministero, infatti, si chiama della Difesa, non della guerra.
Per concludere, riarmo e difesa comune sono sinonimi? Occorre necessariamente passare per il riarmo?
No, allora riarmo è una parola francamente che sembra quasi fatta apposta per alimentare il battage politico. Sicuramente occorre continuare a investire in difesa, intendendo la difesa come deterrenza, in un momento come questo, dove abbiamo visto che sembra contare di più la legge del più forte rispetto al diritto internazionale. Dopodiché, investire in difesa non è strettamente legato alla difesa comune. Che comunque avrà necessità di tempo per nascere, crescere e strutturarsi.