In Italia, ogni anno più di 10 mila infermieri lasciano il lavoro. È un dato che allarma e che racconta di una professione sempre meno attrattiva e sempre più in difficoltà. A lanciare l’allarme è stato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, durante il 3° Congresso Nazionale della Federazione degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) a Rimini. «Siamo di fronte a un quadro che compromette il funzionamento della sanità pubblica e mina l’equità nell’accesso alle cure», ha detto, sottolineando come la carenza di personale metta a rischio soprattutto le fasce più fragili della popolazione, come anziani e malati cronici. In un contesto in cui si stanno investendo risorse importanti con il PNRR – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – la mancanza di infermieri potrebbe compromettere gli obiettivi di riforma del sistema sanitario territoriale.
Numeri che parlano chiaro
Nel 2022, secondo il Ministero della Salute, il personale infermieristico contava poco più di 302 mila unità, di cui oltre 268 mila dipendenti pubblici del Servizio Sanitario Nazionale. In media, ci sono poco più di 5 infermieri ogni 1.000 abitanti, ma con grandi differenze da regione a regione: in Campania, ad esempio, il rapporto scende a 3,8, mentre in Liguria supera i 7. La situazione è particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove i piani di rientro dai debiti regionali hanno limitato le assunzioni. Il confronto con l’estero non è incoraggiante: la media dei Paesi OCSE è di quasi 10 infermieri ogni 1.000 abitanti, mentre quella europea si attesta a 9. L’Italia, con 6,5 se si considerano anche i lavoratori autonomi, resta tra gli ultimi, superando solo pochi Paesi tra cui Grecia e Polonia. Anche il numero di infermieri per ogni medico è basso: nel nostro Paese il rapporto è di 1,5 a 1, mentre la media OCSE è di 2,7.
Sempre più dimissioni e abbandoni
Il fenomeno delle dimissioni volontarie è in forte crescita. Tra il 2020 e il 2022 hanno lasciato il Servizio Sanitario Nazionale oltre 16 mila infermieri, con una crescita significativa nel 2022, anno in cui si sono registrate più di 6.600 uscite. A queste si aggiungono le cancellazioni dall’albo professionale, obbligatorio per esercitare la professione: sono oltre 42 mila negli ultimi quattro anni, di cui oltre 10 mila nel solo 2024. Le ragioni sono varie: pensionamenti, trasferimenti all’estero, decessi, morosità e decisioni personali di cambiare mestiere. Il risultato è che ogni anno si perdono oltre 10 mila professionisti e le nuove generazioni non riescono a colmare il vuoto.
L’età media si alza e la pensione si avvicina
Un altro elemento che preoccupa è l’età avanzata di molti infermieri in servizio. Sempre nel 2022, quasi 78 mila infermieri del SSN avevano più di 55 anni, cioè uno su quattro. Altri 62 mila si trovano nella fascia tra i 50 e i 54 anni. Questo significa che, nei prossimi anni, un’ampia parte del personale sarà prossima alla pensione. «Anche prescindendo dagli altri fattori critici – ha detto Cartabellotta – la sola variabile anagrafica basta a delineare uno scenario allarmante».
Stipendi troppo bassi per un lavoro così duro
Un altro aspetto che contribuisce alla fuga dalla professione è la questione economica. Gli infermieri italiani guadagnano meno dei colleghi europei. Nel 2022, la retribuzione media annua era di circa 48.900 dollari, calcolata a parità di potere d’acquisto, cioè considerando il costo della vita. Si tratta di quasi 9.500 dollari in meno rispetto alla media OCSE. In Europa, stipendi inferiori si registrano solo in alcuni Paesi dell’Est, oltre che in Grecia e Portogallo. Secondo i dati storici, tra il 2001 e il 2019 lo stipendio degli infermieri in Italia è addirittura diminuito dell’1,52%. Una riduzione che si è verificata nonostante l’aumento delle responsabilità e dei carichi di lavoro.
Pochi giovani scelgono di diventare infermieri
Le iscrizioni ai corsi di laurea in infermieristica sono in calo. Nel 2022, in Italia si sono laureati solo 16,4 infermieri ogni 100.000 abitanti, contro una media OCSE di quasi 45. Prima della pandemia, per ogni posto disponibile c’erano 1,6 candidati. Oggi il rapporto è crollato a 1,04: significa che, per la prima volta, i candidati sono appena sufficienti a coprire i posti disponibili. Un segnale evidente della ridotta attrattività della professione tra i giovani, che spesso scelgono percorsi ritenuti più gratificanti o meglio retribuiti.
La popolazione invecchia, i bisogni aumentano
A rendere ancora più urgente la questione è l’invecchiamento della popolazione. Nel 2024, il 24,3% degli italiani aveva più di 65 anni e il 7,7% più di 80. Secondo le proiezioni ISTAT, entro il 2050 gli over 65 rappresenteranno oltre un terzo della popolazione. Già oggi, più di 11 milioni di anziani convivono con almeno una malattia cronica, e quasi 8 milioni soffrono di più patologie contemporaneamente. Questo scenario comporta un aumento costante dei bisogni assistenziali, soprattutto in ambito territoriale e domiciliare. Cartabellotta ha spiegato che «il ruolo degli infermieri sarà sempre più centrale, non solo in ambito ospedaliero, ma soprattutto nell’assistenza domiciliare», che è una delle colonne portanti della riforma prevista dal PNRR. Secondo le stime dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), per far funzionare le nuove strutture come Case di Comunità e Ospedali di Comunità, servono tra i 20 e i 27 mila infermieri di famiglia o di comunità.
Condizioni di lavoro e sicurezza da migliorare
Infine, tra i motivi che scoraggiano chi svolge questa professione, ci sono anche le condizioni di lavoro. Turni pesanti, mancanza di tempo per la vita privata, poche possibilità di carriera e rischio di aggressioni verbali o fisiche sono elementi che pesano sulla quotidianità di chi indossa la divisa. «Le nostre analisi – ha detto Cartabellotta – mostrano con chiarezza i numerosi fattori che rendono la professione infermieristica sempre meno attrattiva». Per questo, ha aggiunto, serve un piano straordinario con l’obiettivo di motivare i giovani a intraprendere questa carriera e trattenere chi già lavora nel SSN. Tra le proposte ci sono aumenti salariali, alloggi a costi accessibili, agevolazioni per trasporti e parcheggi, miglioramenti nella sicurezza sul lavoro e una revisione dei percorsi universitari, con più spazio per la formazione specialistica e continua.