Stati Uniti e Cina si erano lasciati a gennaio con un accordo commerciale di tipo win-win, in virtù del quale gli USA si impegnavano a ridurre i dazi sui beni cinesi in cambio dell’acquisto di prodotti agricoli, energetici e manufatturieri da aziende americane. A rompere questo delicato equilibrio ci ha pensato il Coronavirus che ha spazzato via ogni certezza sui futuri rapporti tra le due superpotenze. L’impatto del Covid-19 negli Stati Uniti è stato devastante; i morti sfiorano le 70 mila unità ed il Pil è calato del 4.8 % nel primo trimestre con una stima di ulteriore calo del 30 % nel secondo trimestre. Per il presidente Trump le responsabilità del paese asiatico sono evidenti e sostenute da prove.
È anche su tali basi che i governatori del Missouri e del Mississipi, entrambi repubblicani, hanno deciso di avanzare richieste di risarcimento dei danni alla Cina con l’accusa di negligenza nella gestione dell’epidemia. Il percorso legale appare tuttavia in salita. Il diritto internazionale, infatti, prevede l’immunità sovrana degli Stati impedendo che essi possano essere sottoposti alla giurisdizione civile di un altro Stato.
Negli USA tale immunità è sancita nel FSIA (Foreign Sovereign Immunities Act) il quale non consente ai tribunali americani di processare Stati sovrani. Analoghe azioni erano state intraprese nei confronti dell’Arabia Saudita, dopo la tragedia dell’11 settembre, dai parenti delle vittime, grazie al Justice Against Sponsors of Terrorism Act (JASTA), una legge approvata dal Congresso nel 2016, che allentava le maglie dell’immunità sovrana, limitando il FSIA, e permettendo ai cittadini statunitensi di citare in giudizio uno Stato straniero ritenuto coinvolto in attività terroristiche lesive dei propri diritti.
I presupposti per intraprendere un’azione legale contro la Cina sono, però, diversi e sarebbe necessario provare l’intenzionalità dei danni causati dalla pandemia. Nonostante le descritte difficoltà giuridiche, il tentativo di riconoscere una responsabilità ufficiale del governo cinese nei confronti della pandemia è un atto politico particolarmente forte che inciderà molto sull’immagine di Pechino, già fortemente danneggiata. Un recente report del Pew Research Center dichiara, infatti, che il 66% degli americani ha un’opinione negativa della Cina e che il 62% ritiene che l’influenza cinese rappresenti una grave minaccia per gli Stati Uniti. Tutto ciò potrebbe, inoltre, rafforzare la posizione del presidente Trump in vista delle elezioni presidenziali di novembre.
La pandemia non porrà fine alla globalizzazione ma ne cambierà le caratteristiche. Probabilmente si assisterà ad un decoupling delle due economie e ad un reshoring delle aziende statunitensi situate in Cina. Tale scenario dovrà essere accompagnato da un recupero della leadership americana nello scacchiere internazionale, mai del tutto persa, anche attraverso uno strategico rinforzo delle alleanze con gli storici partner europei, ed in primis con l’Italia. Ciò al fine di affrontare in modo coordinato le prossime minacce globali e contenere le mire espansionistiche cinesi nel vecchio continente perseguite, attraverso l’esercizio di propaganda e soft power, anche durante l’attuale crisi sanitaria.
Il contratto da 795,1 milioni di dollari, firmato da Fincantieri Marine Group, per la costruzione della nuova fregata multiruolo della Marina Militare Statunitense, con l’opzione per la realizzazione di altre nove unità, è un segnale concreto in questa direzione che fa ben sperare.