mercoledì, 19 Febbraio, 2025
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Dazi USA, l’Europa sotto pressione: i rischi secondo Confindustria

Nuove tariffe sulle importazioni dagli Stati Uniti potrebbero colpire duramente l’export italiano. I settori più esposti sono farmaceutico, automotive e agroalimentare. L’incertezza sul commercio globale frena investimenti e crescita.

Le nuove mosse protezionistiche degli Stati Uniti rischiano di ridisegnare gli equilibri commerciali globali. Il Centro Studi di Confindustria ha analizzato l’impatto di questi dazi, cercando di capire quali potrebbero essere le conseguenze per l’economia italiana e per l’Europa.

L’America alza il muro: più tasse sulle importazioni

A febbraio 2025, la nuova amministrazione statunitense ha introdotto pesanti dazi sulle merci provenienti dall’estero. Le misure includono un’imposta del 25% su tutti i prodotti importati da Canada e Messico (poi sospesa per un mese), un dazio del 10% sulle merci cinesi e il ritorno di una tariffa del 25% su acciaio e alluminio, che fino ad ora era stata sospesa per i paesi europei. Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere: Canada, Messico e Cina hanno già annunciato contromisure, mentre l’Unione Europea ha dichiarato di essere pronta a rispondere.

Perché gli USA impongono i dazi?

La politica commerciale americana non si limita solo alla protezione del mercato interno, ma ha anche obiettivi geopolitici. L’amministrazione statunitense vuole ridurre la dipendenza dalle importazioni, difendere le proprie industrie e mantenere il primato tecnologico. L’idea è quella di usare i dazi come strumento di pressione: tassare un paese per spingerlo a fare concessioni in altri ambiti, come il controllo delle frontiere o la regolazione delle esportazioni tecnologiche.

Queste misure, però, hanno conseguenze dirette anche sui consumatori americani. I dazi sono una tassa sulle importazioni, quindi fanno aumentare il prezzo finale dei prodotti, rendendo più caro acquistare beni provenienti dall’estero. Nel lungo periodo, inoltre, la minor concorrenza potrebbe indebolire l’economia statunitense, favorendo aziende meno efficienti. Studi basati sulle politiche tariffarie adottate da Trump tra il 2018 e il 2019 hanno dimostrato che i dazi hanno fatto salire i prezzi per i consumatori e ridotto i margini di guadagno delle imprese.

Un rischio concreto per il commercio globale

Questa nuova ondata di protezionismo americano sta creando forti distorsioni nei mercati internazionali. Le aziende stanno già cercando soluzioni alternative per aggirare i dazi: alcune spostano la produzione in altri paesi, altre modificano le proprie catene di approvvigionamento. Questo potrebbe portare a un aumento delle triangolazioni commerciali, con merci che passano attraverso paesi terzi per evitare le tariffe. Un esempio è il Vietnam, che ha beneficiato delle tensioni tra USA e Cina assorbendo parte della produzione destinata al mercato americano.

L’incertezza generata da questa situazione ha un impatto significativo sulla crescita economica. Secondo il Centro Studi di Confindustria, un aumento del 10% dell’incertezza globale sulla politica economica può far calare il commercio mondiale di quasi mezzo punto percentuale nel trimestre successivo. In parole semplici, più le regole cambiano in modo imprevedibile, meno le aziende investono e scambiano merci.

L’Italia tra opportunità e pericoli

L’Italia è particolarmente esposta alle decisioni commerciali degli Stati Uniti. Gli USA sono il primo mercato di sbocco per le esportazioni italiane al di fuori dell’Unione Europea. Nel 2024, le imprese italiane hanno venduto negli Stati Uniti beni per un valore di 65 miliardi di euro, con un surplus commerciale di circa 39 miliardi. Questo significa che l’Italia esporta negli USA molto più di quanto importa, un dato che potrebbe rendere i prodotti italiani un bersaglio di eventuali nuove tariffe americane.

Gli investimenti italiani negli USA ammontano a circa 5 miliardi di euro all’anno, mentre quelli statunitensi in Italia sono molto più bassi, intorno a 1,5 miliardi. Le multinazionali americane presenti in Italia, però, danno lavoro a più di 350.000 persone e contribuiscono in modo significativo alla produzione industriale e alla ricerca.

Quali settori rischiano di più?

L’export italiano è più legato al mercato statunitense rispetto alla media europea. Il 22,2% delle vendite extra-UE dell’Italia è diretto agli USA, contro il 19,7% della media UE. Tra i settori più esposti ci sono il comparto delle bevande, con il 39% delle esportazioni fuori dall’UE dirette negli USA, il farmaceutico (30,7%), gli autoveicoli (30,7%) e gli altri mezzi di trasporto (34%).

Se Washington dovesse decidere di applicare nuovi dazi sulle merci europee, questi settori sarebbero i primi a subirne le conseguenze. L’Italia ha anche un forte legame produttivo indiretto con gli USA: molte aziende italiane forniscono componenti o materiali che finiscono in prodotti destinati al mercato americano. Nel settore farmaceutico, ad esempio, il 17,4% della produzione italiana è legata, direttamente o indirettamente, alla domanda statunitense.

L’industria farmaceutica sotto la lente di Washington

Uno dei settori più a rischio è quello chimico-farmaceutico, che rientra tra quelli considerati strategici dagli Stati Uniti per motivi di sicurezza nazionale. Le aziende europee del settore hanno investito ingenti capitali negli USA: oltre il 70% degli investimenti farmaceutici dell’UE fuori dall’Europa è diretto oltreoceano, e per le aziende italiane questa quota sfiora il 90%.

Le tensioni commerciali potrebbero spingere gli USA a colpire questi prodotti per proteggere la propria industria nazionale. Tuttavia, la forte integrazione tra le imprese farmaceutiche europee e americane potrebbe essere un deterrente a un’escalation tariffaria.

Il rischio di una guerra commerciale globale

Rispetto al primo mandato di Trump, questa nuova fase di protezionismo appare più dura e meno disposta a compromessi. Nel 2018-2019, i dazi USA si erano concentrati principalmente sulla Cina, mentre l’Europa aveva ottenuto esenzioni o accordi per limitare i danni. Oggi, invece, Washington sembra intenzionata a colpire un numero più ampio di paesi, compresi gli alleati storici.

Il 10 febbraio 2025, la Casa Bianca ha annunciato che dal 12 marzo saranno reintrodotti dazi del 25% su acciaio e alluminio per tutti, senza più eccezioni. Inoltre, il presidente ha ipotizzato di introdurre una tariffa universale del 10-20% su tutte le importazioni negli USA. Se queste misure dovessero diventare realtà, il rischio di una guerra commerciale su larga scala diventerebbe concreto.

L’Unione Europea ha già dichiarato di essere pronta a rispondere, mentre Canada e Messico hanno annunciato ritorsioni. La sola minaccia di una spirale di dazi e contromisure è sufficiente per destabilizzare il commercio globale e rallentare gli investimenti.

L’incertezza frena la crescita

La prospettiva di un’escalation tariffaria preoccupa le aziende di tutto il mondo, che temono di dover affrontare costi più alti e mercati meno accessibili. Per l’Italia, le tensioni commerciali con gli Stati Uniti rappresentano una sfida significativa: da un lato, c’è il rischio di perdere quote di mercato, dall’altro potrebbe esserci l’opportunità di guadagnare spazio nei settori in cui gli USA stanno riducendo le importazioni dalla Cina.

Tuttavia, la variabile più preoccupante resta l’incertezza. Quando le regole del commercio cambiano continuamente, le imprese faticano a pianificare il futuro. E un’economia che rallenta gli investimenti è un’economia che rischia di frenare la crescita.

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