“In questi anni abbiamo potuto constatare come la gestione dei rifiuti plastici non sia strutturata secondo criteri di sostenibilità ambientale ed economica. E la sensazione è che l’emergenza Covid19, piuttosto che trasformarsi in occasione per affrontare finalmente in modo concreto il tema del corretto smaltimento dei rifiuti plastici, stia diventando l’alibi per consentire una maggiore diffusione di quelle prassi, come l’incenerimento, che dovrebbero essere adottate solo dopo aver percorso altre strade”.
A parlare è Claudia Salvestrini, direttore del Polieco, il Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene il cui compito è quello di favorire il ritiro dei beni a base di polietilene al termine del loro ciclo di vita, onde avviarli alle attività di riciclo e di recupero, concretizzando, nel contempo, una riduzione della quantità di rifiuti smaltiti in discarica e un minor consumo di materia prima.
Riduzione, riutilizzo e riciclo dovrebbero essere la regola. Invece…
“Invece bisogna lavorare ancora molto. Se si pensa che oltre il 50% dei rifiuti prodotti non entra nel circuito del riciclo, è chiaro che bisogna creare le condizioni per riciclare in modo efficiente, cercando soluzioni alternative in grado di impedire che tutto il materiale di scarto vada verso l’incenerimento o ad alimentare flussi di traffici illeciti di rifiuti. Di questi tempi, con un più elevato utilizzo di materiali plastici per fronteggiare il Coronavirus, è necessario adoperarsi per cominciare a realizzare un sistema industriale in grado di garantire la lavorazione dei nostri rifiuti. È assurdo che pure il Covid venga strumentalizzato per tirare la solita volata a gruppi lobbistici che puntualmente cercano di far apparire la termovalorizzazione come la panacea di ogni male”.
Da cosa dipende questo ritardo?
“Purtroppo il nostro sistema di gestione dei rifiuti è il risultato di una politica industriale non lungimirante che non ha saputo premiare investimenti dediti al riciclo e al recupero dei materiali, consentendo che gli imprenditori del settore si allontanassero da questi obiettivi trasformandosi in meri commercianti di rifiuti. Basti considerare che moltissime aziende del riciclo non annoverano, nei propri bilanci, voci economiche legate ad investimenti migliorativi dei processi e dei prodotti. E, non a caso, in questi anni i nostri rifiuti li abbiamo trovati in giro per il mondo: prima era la Cina, poi la Malesia e la Thailandia e altri Paesi dell’Est Europeo. Ci sono stati flussi di rifiuti italiani con destinazione finale in Bulgaria, Albania, Macedonia e Turchia. Chilometri di rotte per andare a finire in impianti non idonei e il dato drammatico, più volte sottolineato dagli allarmi della magistratura, è che le mafie e l’impresa deviata riescono a reinventarsi continuamente e così, mentre si individua una meta dei rifiuti, già se ne sono costruite altre”.
In che modo si può invertire la rotta?
“Per arginare il mercato inquinato che muove pezzi enormi dell’economia criminale occorre fare fronte comune: si può rispondere solo con l’aggregazione di varie forze, dal controllo alla prevenzione, dall’impresa etica che per prima subisce la concorrenza sleale a una politica che incentivi le aziende che operano nella legalità e nel rispetto dell’ambiente”.
Un aspetto molto preoccupante per le ripercussioni sulla salute di donne, anziani e bambini è quello dei roghi. Le cosiddette “Terre dei fuochi”…
“I roghi sono diventati in questi anni la nuova modalità di tombamento dei rifiuti, ma non mi riferisco soltanto a quelli che avvengono in alcune aree del Paese dove vengono sistematicamente dati alle fiamme rifiuti smaltiti illegalmente dai produttori, ma anche al nuovo fenomeno dei roghi nelle piattaforme dei rifiuti. Ne abbiamo contati centinaia da Nord a Sud, spesso sono inseriti in contesti imprenditoriali non legali, ma anche inquadrati nell’inevitabile aumento di rischio che si registra quando non si hanno sbocchi per i residui di lavorazione e le quantità stoccate nelle piattaforme diventano ingenti”.
Anche il settore del riciclo è in crisi. Quali iniziative si attendono gli operatori del settore?
“Purtroppo il settore del riciclo non attraversa un buon momento, non solo per la carenza impiantistica, ma anche per la difficile collocazione del materiale rigenerato sul mercato. Noi di Polieco promuoviamo progetti e iniziative mirate a questo. Mi riferisco, tanto per fare un esempio, ai Criteri Ambientali Minimi da applicare ai bandi di gara dei settori. Inoltre siamo impegnati a sostenere lo studio di progetti sperimentali volti a favorire l’utilizzo di manufatti facilmente riciclabili, l’ottimizzazione dei costi industriali degli impianti di riciclo (come favorire politiche energetiche sostenibili). Con il Cnr Irsa è in corso una sperimentazione per ottimizzare i costi di recupero o smaltimento dei fanghi prodotti dagli impianti di lavaggio dei rifiuti plastici. Il progetto punta a diminuire sia il quantitativo delle acque di lavaggio che quello di produzione dei fanghi degli impianti di riciclo”.
Un obiettivo molto importante.
“Certo. Spiace constatare come queste iniziative partano per lo più da privati e come non ci sia una volontà non solo politica ma istituzionale, di ascoltare anche i rappresentanti delle piccole e medie imprese, stanchi di subire scelte prese da tavoli dai quali puntualmente vengono esclusi. Gli imprenditori del settore chiedono semplicemente regole chiare e certe, non di certo deregulation come impropriamente spesso si crede. I rifiuti possono essere una risorsa se solo fosse attuata una vera economia circolare avremmo più occupazione, meno tombamenti, più rispetto dell’ambiente, maggiore tutela della salute. Posso aggiungere una cosa?”,
Prego, dica…
“In questo momento stiamo lavorando con Eataly all’obiettivo di ricercare una soluzione alternativa all’uso del monouso nella pesca in grado di prevenire l’inquinamento del mare. Lo stiamo facendo attraverso una sperimentazione congiunta che prevede la sostituzione del polistirolo con casse riutilizzabili e riciclabili. Le cassette contenenti i prodotti dei pescatori, dopo l’uso, potranno essere sanificate per ritornare sui pescherecci e ospitare nuovo pesce fresco che successivamente sarà ancora nelle pescherie di Eataly”.
Come si è conclusa la collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare per la formulazione delle regole per l’ottenimento del Marchio Made Green in Italy?
“Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha accolto favorevolmente il percorso propositivo conclusosi con il riconoscimento delle Regole di Categoria di Prodotto valide per le borse multiuso in polietilene che riassumono i requisiti e le linee guida necessarie alla conduzione di uno studio di Dichiarazione di Impronta Ambientale di Prodotto funzionale all’ottenimento del Marchio Made Green in Italy. Le Regole di Categoria di Prodotto sono state promosse da noi del Consorzio PolieCo, con il supporto scientifico di Spinlife Srl – Spinoff dell’Università di Padova”.