venerdì, 28 Marzo, 2025
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Libri

“Una maschera color del cielo”.
Il dilemma dell’essere

Il testo di Bassem Khandaqji, tradotto da Barbara Teresi per le edizioni E/O, ha vinto l'International Prize for Arabic Fiction, il più prestigioso riconoscimento letterario per opere in lingua araba. In questo suo quarto sforzo, l’autore ci racconta della Nakba, la “catastrofe, ovvero l'esperienza più drammatica del popolo palestinese dal 1948 a oggi, quando oltre 700 mila arabi furono forzatamente e violentemente mandati via dalle loro case alla nascita di Israele

Secondo Barbara Teresi, traduttrice dell’ultimo libro del romanziere palestinese Bassem Khandaqji, “Una maschera color del cielo”, il processo di scrittura e pubblicazione del libro è avvenuto in condizioni estremamente difficili, perché da quando si è saputo che era candidato al premio letterario, lo scrittore è stato messo in carcere in isolamento. Sono stati tanti gli stratagemmi utilizzati da Khandaqji per far uscire i suoi scritti dal carcere, ha nascosto le parole tra le righe, scrivendo con tratti leggeri e grafie minuscole per evitare la censura. Il merito del libro è quello di aver rappresentato un tema che mai come oggi è tornato alla ribalta a causa dei massacri di decine di migliaia di palestinesi per mano delle truppe israeliane nella striscia di Gaza dopo il gravissimo eccidio commesso da Hamas il 7 ottobre 2023.

La copertina del romanzo di Bassem Khandaqji, “Una maschera color del cielo”

Nur, il protagonista del romanzo, è un giovane rifugiato palestinese che vive nel campo profughi vicino a Ramallah, in Cisgiordania. Ha le sembianze di un ebreo askenazita, per via degli occhi, i capelli chiari e la conoscenza perfetta dell’ebraico parlato. Questo gli consentirà di passare inosservato nei posti di blocco militari dove famigliari e amici vengono puntualmente fermati.

L’illusione di poter vivere una doppia identità ebraica è la “maschera” che gli permette di sopravvivere all’occupazione ebraica. Laureato in archeologia, decide di scrivere un romanzo sulla vita di Maria Maddalena basandosi sui Vangeli gnostici. Studioso, ricercatore è, però, anche uno dei tanti lavoratori bisognosi di un permesso del Governo israeliano per trovare un umile impiego “nel cuore dell’entità sionista”. In queste vesti dibatte con se stesso, in perenne conflitto sul suo ruolo in una società modellata dall’occupazione.

Sarà il tema dominante della corrispondenza clandestina che avrà con il suo migliore amico, Murad, in carcere con una condanna all’ergastolo. Nur, influenzato dalle riflessioni del suo amico si chiede quale sia il significato dell’archeologia per chi vive in un campo profughi. Attraverso il suo lavoro scopre come la narrazione israeliana si basi su un uso politico della storia per legittimare l’occupazione del territorio. Le lettere sono un confronto necessario a un ragazzo che cerca risposte e validità, oltre che conferme, sul futuro.

Tutto cambia quando compra una giacca di pelle in un negozio dell’usato. Dentro la tasca interna Nur trova una carta d’identità sionista in perfetto stato, dimenticata dal proprietario: Ur Shapira, residente a Tel Aviv. Ur poco per volta diventerà il nuovo volto di Nur. Vinto dal desiderio di lasciarsi alle spalle il campo profughi visitando i siti archeologici di cui è appassionato, decide di far falsificare il documento e di spacciarsi per israeliano. È il passaggio ideale fra la lingua araba, “la lingua del cuore”, e l’ebraico “la lingua della sua ombra”.

Riesce a farsi assumere per una missione di scavi nei pressi di Megiddo, nell’insediamento a Mishmar HaEmek, entrando sempre più a contatto con la mentalità del suo alter ego, per “avere contezza dei tuoi diritti, quelli che ti sei inventato su questa terra. Il tuo diritto di esistere. Il diritto alla libertà. Al movimento. All’insediamento. All’occupazione. Alla detenzione. All’assassinio. Il tuo diritto di sfollarmi, confiscare i miei beni, scacciarmi, escludermi ed emarginarmi. Voglio imparare tutti i nomi sionisti per poterti fronteggiare”, dice Nur a Ur in un dialogo interiore in cui chiare sono le posizioni in campo.

La sua falsa identità e la frequentazione dei colleghi sarà, soprattutto, l’occasione per creare e approfondire nuove amicizie. Conoscerà Ayala, una sionista convinta e decisa, e Sama’, palestinese che non rinnega la sua identità né la sua lingua madre. I due antagonisti, Nur a Ur, come le due ragazze, si confrontano, si scambiano accuse, rancori, minacce. In questo gioco di specchi e rimandi, si coglie il dramma di una terra che non accetta due popoli e due lingue. In quella lingua espressa con dignità e forza, Sama’ evidenzia la pochezza del grande bluff che il protagonista mette in scena, come un palestinese errante in cerca d’identità. È l’inizio della crisi che porterà il protagonista a una decisione forte e convinta.

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