domenica, 22 Dicembre, 2024
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Industria in crisi: nel 2024 oltre 118mila lavoratori coinvolti, il sistema produttivo italiano a rischio collasso

Il 2024 si sta rivelando un anno nero per il settore industriale italiano. Secondo i dati forniti dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, sono 105.974 i lavoratori attualmente coinvolti in vertenze industriali gestite dall’unità di crisi del ministero. Un dato allarmante, in netto aumento rispetto ai 58.026 di gennaio 2024. Ma il bilancio è ancora più pesante: a questa cifra si aggiungono 12.336 lavoratori di piccole e medie imprese che hanno perso il lavoro senza che le loro situazioni arrivassero sui tavoli istituzionali. In totale, si tratta di 118.310 persone, un numero che fotografa una crisi senza precedenti. Le crisi industriali colpiscono trasversalmente diversi settori strategici, con l’automotive, la chimica di base, il sistema moda, l’industria della carta e il comparto dell’energia tra i più colpiti. La transizione ecologica, con il phase-out delle centrali a carbone, sta avendo un impatto significativo, ma le difficoltà non si fermano qui.
Tra le vertenze più rilevanti, spiccano quelle legate a grandi aziende come Beko (elettrodomestici, 4.400 addetti), Eni Versalis (chimica di base, 8.000 lavoratori diretti più 24.000 nell’indotto), e il gruppo Fedrigoni (cartiere, 300 lavoratori tra diretti e indotto). Anche il settore del commercio è in sofferenza: Coin e Conbipel vedono a rischio complessivamente 3.400 posti di lavoro. A questi numeri si sommano i 494 licenziamenti di Almaviva nel settore delle telecomunicazioni, previsti entro la fine dell’anno.

Un sistema in affanno

La Cgil Nazionale, intervenendo sul tema, denuncia un’incapacità sistemica di affrontare queste crisi: “Le numerose vertenze aperte nel 2024 parlano di una totale incapacità del pubblico di indirizzare politiche industriali in settori strategici e rilevanti per il Paese”. L’assenza di una visione strategica per sostenere le transizioni verde e digitale, che potrebbero rappresentare un’opportunità per rilanciare l’economia, rischia invece di trasformarle in un ulteriore fattore di impoverimento del sistema produttivo italiano. L’effetto più tangibile di questa crisi è la perdita occupazionale: anche quando si trovano soluzioni per salvare aziende in difficoltà, il saldo è quasi sempre negativo. Le operazioni di reindustrializzazione spesso si limitano a soluzioni tampone che portano a un ridimensionamento delle imprese e delle loro filiere. Questo genera una deindustrializzazione progressiva e un abbassamento della qualità delle produzioni.
Le difficoltà non si fermano ai lavoratori direttamente coinvolti nelle aziende in crisi. La crisi delle filiere produttive, spesso dimenticata dalle istituzioni, amplia il raggio del problema. Ad esempio, nel caso di Beko, non sono solo i 4.400 dipendenti diretti della multinazionale turca a essere a rischio, ma anche le aziende fornitrici che producono guarnizioni, vaschette e componenti essenziali per la produzione.

Crisi regionali

La situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente se fosse confermata l’ipotesi, preannunciata dal Ministro Urso, di “scaricare” sulle Regioni la gestione delle crisi di aziende con meno di 250 dipendenti. La maggior parte delle amministrazioni regionali non dispone delle strutture necessarie per affrontare situazioni così complesse, lasciando migliaia di lavoratori senza alcuna tutela. La Cgil sottolinea come questa situazione sia il frutto di decenni di mancata programmazione industriale e dell’assenza di politiche pubbliche adeguate.
L’organizzazione sindacale propone un approccio radicalmente diverso per affrontare le crisi: reindustrializzazione del Paese, tutela occupazionale, riqualificazione professionale, progetti per la collettività.

 

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