In Italia si vive un paradosso migratorio: mentre migliaia di giovani italiani continuano a cercare opportunità all’estero, anche in tempi di crisi economica globale, altri italiani tornano a casa, ma in numero molto minore. Il saldo migratorio del 2023, in netto calo (-52.334), evidenzia una situazione di flusso e riflusso che sembra però sfuggire alla comprensione della politica, incapace di cogliere il mutamento del concetto di cittadinanza. È questo il messaggio centrale del XIX Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, curato da Delfina Licata e presentato a Roma. Dal 2006 a oggi, la popolazione italiana iscritta all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) è quasi raddoppiata, passando a oltre 6,1 milioni di cittadini. Negli ultimi dieci anni, si contano oltre un milione di espatriati, con un picco tra i giovani adulti tra i 18 e i 34 anni, oltre a un numero significativo di famiglie e anziani che scelgono di stabilirsi all’estero per cercare migliori opportunità di vita. A fronte di partenze consistenti, la realtà è che in pochi scelgono di tornare, lasciando dietro di sé una “desertificazione” sociale ed economica in molte aree del Paese. L’estero si è trasformato nell’“ascensore sociale” che in Italia si è bloccato dagli anni Novanta, una valvola di sfogo per le aspirazioni e il potenziale dei giovani. Ma il fenomeno migratorio non è sempre dettato da ragioni economiche; spesso vi è anche il desiderio di una vita diversa, in un ambiente dinamico e meritocratico. Gli italiani che se ne vanno sono sempre più consapevoli di quanto difficile sia trovare un futuro nel proprio Paese, dove il ritorno non sembra trovare una vera valorizzazione istituzionale.
La mobilità interna
Oltre alle migrazioni all’estero, l’Italia vive un intenso fenomeno di migrazioni interne. Ogni anno, circa 2 milioni di italiani si trasferiscono da un Comune all’altro; tre quarti di questi movimenti sono all’interno del territorio nazionale. Le aree interne del Paese, in particolare, hanno visto una riduzione della popolazione del 5% dal 2014, con la conseguente chiusura di servizi essenziali come scuole, bar, banche e attività commerciali. Questo processo genera un effetto di attrazione-repulsione: se da un lato si parla sempre più del ritorno a una vita più lenta e a misura d’uomo, dall’altro molti giovani abbandonano definitivamente i piccoli centri per trasferirsi nelle città o cercare opportunità all’estero. Anche le città, però, iniziano a rifiutare i giovani. I costi proibitivi degli affitti e il caro vita rendono difficile per le nuove generazioni, e persino per i laureati, trovare una stabilità economica nelle aree urbane. A questa situazione si affianca una mancanza di prospettiva politica che non riconosce l’opportunità offerta da una migrazione strutturata e positiva per affrontare la crisi demografica ed economica del Paese. Il Rapporto della Fondazione Migrantes sottolinea che l’Italia deve “curare la ferita migratoria”, accettando la mobilità come un’opportunità di crescita reciproca, e non come un abbandono. Mentre migliaia di italiani se ne vanno, il Paese accoglie nuove generazioni di ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, che si sentono italiani senza essere formalmente riconosciuti come tali. Secondo un’indagine Istat, tra i ragazzi stranieri dagli 11 ai 19 anni, l’85,2% si sente italiano, identificando la cittadinanza non solo con la nascita, ma anche con il rispetto di leggi e tradizioni locali. Tuttavia, la legge sulla cittadinanza italiana, ferma al 1992, non risponde più alle necessità del Paese e crea disparità tra chi è nato e cresciuto in Italia e chi, pur essendo un italodiscendente, diventa cittadino solo attraverso un complicato iter burocratico.
Verso una “comunità ruscello”
Il Rapporto Migrantes riprende la suggestiva immagine della “comunità ruscello” del poeta Franco Arminio, che evoca una società fluida e aperta, in contrasto con la “comunità pozzanghera”, stagnante e chiusa al cambiamento. Il Presidente della Fondazione Migrantes, mons. Giancarlo Perego, ha lanciato un appello alla politica, chiedendo di “riconoscere i cambiamenti che stanno avvenendo nella polis” e di interpretare e governare questi fenomeni con strumenti moderni e adeguati.