domenica, 22 Dicembre, 2024
Società

Porta Santa a Rebibbia, la scelta del Papa e l’attesa amnistia

Le parole del Pontefice: si assumano iniziative che restituiscano speranza, forme di amnistia o di condono della pena

In Italia il 62% dei processi penali non arriva in aula, perché prescritti. Con l’occasione del Giubileo si riapra il dialogo politico sulla riforma del sistema detentivo

Il 26 dicembre 2024, giorno di Santo Stefano, Papa Francesco aprirà la Porta Santa nel carcere romano di Rebibbia, segnando un momento storico nella storia dei Giubilei. Un gesto straordinario il cui senso è affidato alle stesse parole del Pontefice che chiede iniziative che: “restituiscano speranza, forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società”.

Porta Santa a Rebibbia

La data del 26 dicembre sarà la prima volta in cui, oltre alle Porte Sante che, come abitualmente accade, verranno aperte nelle quattro Basiliche papali romane, se ne aprirà una anche in un penitenziario. L’annuncio, ricordiamo, è stato dato dal Pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, monsignor Rino Fisichella, che ha sottolineato come Rebibbia, il 26 dicembre, sarà “simbolo di tutte le carceri del mondo”. Il gesto straordinario è stato voluto fortemente dal Santo Padre, che ha sottolineato l’importanza della cura dei detenuti e del loro reinserimento sociale. “Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio”, ha sottolineato Papa Francesco, “Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza, forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società, percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”.

Prescrizione, processi mai celebrati

Noi aggiungiamo un altro elemento sul quale riflettere a beneficio del cronico se non addirittura critico sovraffollamento delle carceri italiane, quello che permetterebbe lo sfoltimento della popolazione carceraria togliendo anche, chiamiamola così, la deriva dei tempi delle prescrizioni. Sappiamo infatti che in Italia il 62% dei processi penali non arriva in aula, perché prescritti. Come è noto la prescrizione si rende necessaria per permettere all’apparato della giustizia di lavorare in equilibrio tra costi ed efficacia. In altre parole più passa il tempo e più risorse devono essere investite per perseguire i colpevoli e, parallelamente, il reato commesso perde di rilevanza sociale. Come è stato osservato si tratta di un meccanismo garantista necessario a evitare derive giustizialiste. Ad essere più precisi nel nostro Paese – secondo i dati del ministero della giustizia (cifre che risalgono al 2017 ma sono le uniche disponibili) – in Italia vengono definiti circa un milione di processi in un anno. Di questi circa 126 mila vengono definiti per via della prescrizione, siamo a poco meno del 13 per cento.

Suicidi e sovraffollamento

I problemi che l’amministrazione penitenziaria e i lavoratori degli istituti devono affrontare rispecchiano una situazione che ha superato da tempo il livello di guardia. I detenuti presenti nelle strutture sono oltre 61 mila dovrebbero essere invece 47.067, in base ai posti disponibili negli istituti penitenziari. C’è poi il dato più sconvolgente, quello dei suicidi.

A metà dell’ottobre scorso i suicidi in carcere erano 75 e c’è il timore che si superi i 100 casi a fine anno. Un record drammatico, nel 2023 furono 80.

Il sindacato di Polizia penitenziaria sottolinea un aspetto altrettanto problematico: “Il sistema carcerario è sull’orlo del baratro. I detenuti sono 15 mila in più rispetto alla capienza, mancano più di 18 mila poliziotti”.

Detenuti non colpevoli

Ai suicidi e al profondo disagio degli operatori bisogna aggiungere una considerazione giuridica. Una parte considerevole, circa un terzo dei detenuti in Italia è statisticamente da considerare non colpevole. Come è stato di recente evidenziato parliamo talvolta di poveri cristi, di persone che fanno una vita non integrata. Persone con a carico imputazioni risibili, che non godono di una tutela legale adeguata. Il processo moderno costa molto agli imputati che oltre all’avvocato devono poter avvalersi di consulenze scientifiche che hanno costi elevati. Dall’altra parte della barricata, come sottolineato, a subirne i pesanti effetti negativi sono i lavoratori del sistema carcerario. “Persone che lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane”, ricorda Donato Capece, segretario del Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria.

Le Istituzioni e l’occasione della Porta Santa

Il nodo può essere sciolto dalle istituzioni in particolare possono essere concessi, l’indulto (l’ultimo risale al 2006) per reati non superiori a tre anni per le pene detentive e non superiori a 10 mila euro per quelle pecuniarie. O proclamando l’amnistia, l’ultima è del 1990. I due provvedimenti non possono includere reati gravi, quelli contro la persona, di terrorismo, quelli di mafia, di violenza, rapina, estorsioni. L’azione di Papa Francesco può dare conforto a quanti sperano in una nuova possibilità di vita e reinserimento sociale. Allo Stato, invece, la possibilità di sfoltire le carceri, dare respiro all’apparato di controllo e sicurezza, permettere una azione di riduzione delle prescrizioni, infine, promuovere l’attesa e rinviata riforma del sistema carcerario. Una sfida difficile, controversa, un tema dibattuto da molti Governi ma ora, l’occasione della apertura della Porta Santa nel carcere di Rebibbia, può segnare una svolta e una nuova speranza.

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