La battaglia tra Davide e Golia si ripete, ma questa volta i protagonisti sono la Cgia di Mestre, la piccola e battagliera associazione degli artigiani del Nordest, e le grandi multinazionali del web. Il motivo dello scontro è uno dei temi caldi dell’economia moderna: il divario fiscale tra le piccole e medie imprese italiane e i colossi della tecnologia. Le grandi aziende del web, capaci di generare ricavi impressionanti, continuano a sfuggire alle maglie del fisco, trasferendo i loro profitti in paesi con regimi fiscali vantaggiosi, lasciando solo le briciole nelle casse dello Stato italiano. L’Ufficio studi della Cgia ha messo in evidenza uno squilibrio clamoroso. Mentre le Pmi italiane versano al fisco ben 24,6 miliardi di euro all’anno, le 25 multinazionali del web, secondo i dati raccolti dall’Area Studi di Mediobanca, contribuiscono con appena 206 milioni di euro. Anche tenendo conto delle dimensioni economiche estremamente diverse tra queste due categorie di imprese, il confronto appare sbilanciato in maniera allarmante. Le piccole imprese italiane, con un fatturato 90 volte superiore a quello delle big tech, si trovano a pagare imposte 120 volte maggiori.
Questo squilibrio non può essere giustificato solo dalle differenze di scala tra le imprese. Il ricorso massiccio all’elusione fiscale, pratica ormai diffusa tra le grandi multinazionali tecnologiche, ha creato un sistema in cui le PMI italiane sono penalizzate, mentre i giganti del web godono di un trattamento fiscale privilegiato. Il divario si fa ancora più evidente se si considera che il tax rate effettivo per le PMI si avvicina al 50%, mentre per le big tech è solo del 36%.
La Global minimum tax
Un barlume di speranza potrebbe venire dall’introduzione della Global minimum tax, un’imposta globale che mira a limitare l’elusione fiscale da parte delle multinazionali. Tuttavia, anche qui, le aspettative sono contenute. Secondo un rapporto del Servizio Bilancio dello Stato della Camera, il gettito previsto dalla Gmt sarà modesto: nel 2025 si stimano entrate per 381,3 milioni di euro, che saliranno a 500 milioni solo nel 2033. E non tutti i paesi europei si adegueranno immediatamente: Malta, Cipro e il Portogallo hanno ottenuto proroghe o sono in ritardo rispetto all’implementazione. Questo lascia spazio, per i prossimi 5-6 anni, alle grandi multinazionali di continuare a spostare i loro profitti in paesi con fiscalità agevolata, mantenendo intatta la loro capacità di ridurre il carico fiscale in Italia.
Le piccole imprese italiane, che costituiscono la spina dorsale dell’economia, sono impossibilitate a seguire le orme delle grandi multinazionali e spostare i propri profitti all’estero. Sono ancorate al territorio, eppure pagano il prezzo di una competizione fiscale che le svantaggia gravemente. Secondo l’analisi della Cgia, soltanto in Molise e Valle d’Aosta le tasse pagate dalle imprese locali sono inferiori a quelle versate dai giganti del web. Al contrario, in regioni come la Lombardia e il Lazio, le PMI contribuiscono alle casse dello Stato rispettivamente 125 e 56,7 volte in più rispetto alle grandi piattaforme digitali.
Le implicazioni future
Con una manovra finanziaria per il 2025 ancora tutta da scrivere e la necessità di recuperare miliardi di euro, la Cgia lancia un appello chiaro: è tempo che anche i giganti del web contribuiscano equamente. Le regole della Global minimum tax, sebbene complesse, potrebbero rappresentare un primo passo verso una maggiore equità, ma non saranno sufficienti da sole. Occorre trovare una soluzione che, senza far fuggire queste aziende dal nostro Paese, le obblighi a versare il giusto contributo fiscale.