L’incremento previsto sarà di 19,1 miliardi di euro rispetto al 2022. Una crescita dei salari che secondo l’indagine Cer– Centro Europa Ricerche per Confesercenti, è dovuta ai rinnovi dei contratti nazionali nel biennio 2023-2024. Tra i rinnovo spicca quelli di terziario e turismo, siglati rispettivamente a marzo e luglio di quest’anno che, nella stima della Confederazione “porterà ad un sostanziale aumento dei redditi da lavoro dipendente, con un incremento di 19,1 miliardi”.
Salari più pesanti
Per gli stipendi degli italiani si tratta di un aumento più ampio rispetto agli anni passati, anche per recuperare la perdita di potere d’acquisto delle famiglie provocata dalla fiammata inflazionistica del biennio 2022-2023. “L’incremento degli stipendi”, calcola ancora la Confederazione, “darà una spinta anche ai consumi, con un aumento previsto della spesa delle famiglie di 5,5 miliardi nel 2024, lo 0,4% in più di quanto si sarebbe registrato in assenza di rinnovi contrattuali e la metà dell’incremento complessivo della spesa previsto per quest’anno (+0,8%)”.
Gli aumenti in tasca al fisco
Per la Confesercenti tuttavia c’è un rovescio della medaglia, e a conti fatti una parte degli aumenti sarà intascato dal fisco. “L’impatto sulla spesa, però, è depotenziato non solo dal peso del fisco – che, insieme ai contributi sociali, assorbirà 7,1 miliardi di euro – ma anche dalla necessità di ricostituire le riserve erose dagli italiani per far fronte all’aumento dei prezzi. Le famiglie sono prudenti, e stanno tornando formiche anche se siamo ancora nella stagione delle cicale. Una situazione resa più complessa dall’alto livello dei tassi di interesse, che aumenta i costi del credito per le imprese e per i consumatori”.
Necessario detassare
La spinta generata dai rinnovi incontra, secondo la valutazione della Confesercenti, dunque troppi freni che ne mitigano la portata. “Per amplificarne l’impatto sull’economia, sarebbe utile, nell’ambito della riforma fiscale, detassare gli aumenti retributivi stabiliti dai contratti riconosciuti come comparativamente più rappresentativi”, propone la Confederazione, “Un intervento di questo tipo contribuirebbe a contrastare la diffusione dei contratti pirata (che costano fino al 20% in meno perché ‘tagliano’ istituti indiretti e welfare bilaterale) e a far emergere l’elusione contributiva e fiscale, che si stima avere una dimensione del 30% del totale dei rapporti di lavoro. Genererebbe inoltre circa 4 miliardi di ulteriore spesa delle famiglie e un aumento aggiuntivo del PIL di 2,4 miliardi nel 2024-2025. La politica monetaria della BCE, però, deve cambiare: è necessario incamminarsi su un percorso di decisa riduzione dei tassi di interesse, un passaggio chiave per la ripresa del mercato interno”.