C’è una nuova strategia terapeutica per riattivare la risposta immunitaria nei pazienti affetti da mielofibrosi, una neoplasia del sangue che è stata messa a punto da un gruppo di ricercatrici e ricercatori del Centro Interdipartimentale di Cellule Staminali e Medicina Rigenerativa (CIDSTEM) di Unimore. La ricerca è stata coordinata dalla professoressa Rossella Manfredini del Dipartimento di Scienze Biomediche Metaboliche e Neuroscienze dell’ateneo. I risultati dello studio sostenuto da Fondazione AIRC, sono emersi nell’ambito del programma “5 per mille” MYNERVA coordinato dal professor Alessandro Vannucchi. I dati sono stati pubblicati sull’American Journal of Hematology”,un’importante rivista ematologica internazionale del Gruppo Wiley.
Lotta alla mielofibrosi
La mielofibrosi è la forma più grave tra le neoplasie mieloproliferative croniche Philadelphia-negative. Nonostante l’introduzione di ruxolitinib, un farmaco mirato per il trattamento dei pazienti, a oggi l’unica terapia efficace è il trapianto di midollo osseo, che però presenta un alto rischio di recidiva e di decesso in questi pazienti. I risultati ottenuti dal gruppo della Professoressa Manfredini e colleghi hanno mostrato che i linfociti T citotossici, cellule del sistema immunitario normalmente in grado di uccidere le cellule tumorali, perdono questa capacità nei pazienti con mielofibrosi. La funzione può tuttavia essere riattivata, in linfociti T esausti, da un farmaco già in uso nella pratica clinica per altri tumori, ma mai valutato in questi pazienti.
Le nuove strategie
“Le terapie mirate attualmente disponibili per il trattamento di pazienti affetti da mielofibrosi non sono in grado di contrastare efficacemente l’espansione delle cellule tumorali” afferma Manfredini. “L’identificazione di nuove strategie terapeutiche risulta di fondamentale importanza per superare questi limiti e fornire ai medici una nuova arma da impiegare nella cura dei pazienti. Per questo studio ci siamo focalizzati su un farmaco già impiegato nella pratica clinica in altri tumori per accelerare il trasferimento dei risultati dal banco di laboratorio al letto del paziente.” “I nostri risultati hanno dimostrato che i linfociti T citotossici dei pazienti affetti da mielofibrosi, rispetto ai controlli sani, presentano livelli più elevati di CTLA-4, un “checkpoint immunitario”, ovvero un interruttore molecolare che viene normalmente utilizzato per prevenire un’eccessiva risposta dei linfociti T e che viene invece sfruttato dalle cellule tumorali per eludere la sorveglianza del sistema immunitario” spiega la dottoressa Lara Tavernari. “Sulla base di questi dati, ci siamo focalizzati sull’effetto dell’inibizione di questo asse immunosoppressivo”.
Nuove sperimentazioni
“In laboratorio abbiamo sviluppato un sistema per studiare l’interazione fra linfociti T e cellule tumorali” spiega il dottor Sebastiano Rontauroli. “Abbiamo così scoperto che l’attivazione dei linfociti T citotossici dei pazienti con mielofibrosi è inibita dalla presenza di cellule tumorali, ma può essere ristabilita attraverso l’impiego di un anticorpo monoclonale anti-CTLA-4.” “Complessivamente – conclude Manfredini – questi dati dimostrano che la riattivazione dei linfociti T citotossici esausti può rappresentare un nuovo bersaglio terapeutico efficace per il trattamento dei pazienti affetti da mielofibrosi. Ciò potrà essere potenzialmente utile allo sviluppo di cure più mirate e precise. Poiché il farmaco dai noi utilizzato è ben tollerato in pazienti con altri tipi di tumori, stiamo progettando lo sviluppo di una sperimentazione clinica da iniziarsi appena ottenute le necessarie autorizzazioni.”