domenica, 8 Settembre, 2024
Lavoro

Lavoro minorile, un fenomeno globale che non risparmia l’Italia

Il lavoro minorile in Italia è un fenomeno diffuso ma ancora in larga parte invisibile. Si stima che, nel nostro Paese, 336 mila minorenni tra i 7 e i 15 anni abbiano avuto esperienze di lavoro, quasi 1 minore su 15. Tra i 14-15enni che dichiarano di svolgere o aver svolto un’attività, il 27,8% ha svolto lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico, perché percepiti come pericolosi o perché svolti in orari notturni e in maniera continuativa durante il periodo scolastico. Questi sono solo alcuni tra i dati raccolti in “Non è un gioco”, l’indagine redatta da Save the Children sul lavoro minorile in Italia che riguarda circa 58mila adolescenti. La ricerca mostra anche una relazione tra lavoro minorile e dispersione scolastica: un circolo vizioso di povertà ed esclusione.

Lavorare prima dei 16 anni di età

In Italia la legge stabilisce la possibilità per gli adolescenti di iniziare a lavorare a 16 anni, avendo assolto l’obbligo scolastico. Dall’indagine “Non è un gioco” emerge che quasi un 14-15enne su cinque svolge o ha svolto un’attività lavorativa prima dell’età legale consentita. I minori che lavorano prima dell’età permessa per legge rischiano di compromettere i loro percorsi educativi e di crescita. Save the Children evidenzia che la mancanza nel nostro Paese di una rilevazione statistica sistematica sul lavoro minorile non consente di definirne i contorni e intraprendere azioni efficaci di contrasto al fenomeno.

Le principali cause

Tra i motivi che spingono ragazzi e ragazze ad intraprendere percorsi di lavoro ci sono l’avere soldi per sé, che riguarda il 56,3%, la necessità o volontà di offrire un aiuto materiale ai genitori, per il 32,6%. Non trascurabile sono il 38,5% di chi afferma di lavorare per il piacere di farlo. I risultati dello studio mostrano come la percentuale di genitori senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare o media è significativamente più alta tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze di lavoro, un dato che deve far riflettere sulla trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione.

La maggioranza dei minori, ovvero il 53,8% che dichiara di aver lavorato durante l’ultimo anno o in passato, ha iniziato dopo i 13 anni, mentre il 6,6% prima degli 11 anni. Circa due terzi dei minorenni che hanno sperimentato forme di lavoro sono di genere maschile (65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio.

I settori in cui è diffuso il lavoro minorile

I settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono: la ristorazione (25,9%), la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), seguiti dalle attività in campagna (9,1%) e in cantiere (7,8%) e dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Ma emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%) come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi o ancora il cosiddetto “reselling”, ossia la rivendita di prodotti a edizione limitata, di abbigliamento, sneakers, smartphone e sigarette elettroniche. Nel periodo in cui lavorano, più della metà degli intervistati lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana e circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.

Crisi economica e aumento di povertà

Dall’indagine è emerso che tra i 14-15enni intervistati che lavorano quasi 1 su 3 (29,9%) lo fa durante i giorni di scuola, tra questi, il 4,9% salta le lezioni per lavorare. Dai dati si evince che la percentuale di minori bocciata durante la scuola secondaria di I o di II grado è quasi doppia tra chi ha lavorato prima dei 16 anni rispetto a chi non ha mai lavorato. In Italia sono 1 milione 382 mila i minori che vivono in povertà; il 14,2% del totale, rischia di far crescere il numero di minori costretti a lavorare prima del tempo, spingendo molti verso le forme di sfruttamento più intense. Il lavoro minorile può anche influenzare la condizione futura di giovani ‘NEET’ (Not in Education, Employment, or Training), alimentando la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione sociale. I ragazzi e le ragazze di età compresa tra 15 e 29 anni in questa situazione in Italia sono più di 1 milione e 500mila nel 2022, il 19 % della popolazione di riferimento, con un valore in Europa secondo solo a quello osservato in Romania.

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