Papa Francesco ha chiesto in occasione del Giubileo la remissione dei debiti, ma il Santo Padre è andato ben oltre, e in armonia con i missionari, soprattutto in Africa, ha puntualizzato che “la cancellazione spesso non basta, serve un meccanismo che non generi più dipendenza”. Su questo don Lucio Brentegani, missionario fidei donum in Guinea Bissau, alla redazione di “Popoli e Missione” ha dichiarato che “la Guinea Bissau ogni due mesi chiede un prestito alla Banca dell’Africa occidentale, una sorta di Banca centrale. Ma i soldi che incassa non servono a fare investimenti bensì a pagare i salari ai dipendenti”. Il governo paga le spese correnti con i debiti e questo vuol dire generare altro debito. “Si sta intrappolando sempre di più e senza via di uscita”, dice don Lucio che parla di “colonialismo finanziario” quando il Fondo monetario internazionale presta denaro in queste forme.
Una nuova schiavitù
La percentuale media del debito pubblico in Africa tra 2013 e 2022 è passata dal 30% del Pil al 60% nel giro di un decennio e restituire i prestiti è sempre più difficile. “Ci si deve assoggettare a chi presta soldi e chiede in cambio un voto alle Nazioni Unite o un sostegno diplomatico”, aggiunge don Brentegani. Il debito “è un sistema di colonizzazione che va al di là della geografia. È una schiavitù”. La proposta pontificia di rimodulare i debiti e farlo senza speculare “è di altissimo livello e spiazza tutti”. Don Lucio poi ricorda che “uno dei pilastri dell’economia in Guinea Bissau sono gli anacardi. Quando va male la vendita degli anacardi c’è fame nelle campagne. Ma il commercio è nelle mani dei ministri: commercianti e governanti coincidono e non hanno interesse a pagare il giusto prezzo alle famiglie produttrici di anacardi”.
Il paradosso della povertà
Altro esempio di colonialismo finanziario viene dall’Angola. “Uno dei Paesi più altamente indebitati al mondo. Il 60% del nostro Pil viene usato per il servizio sul debito. E gran parte di questi debiti sono contratti con la Cina”. Padre Júlio Candeeiro, missionario domenicano dice che “è importante cancellare o rimodulare il debito, ma ancora più importante è smontare il meccanismo della corruzione che è a monte.
Non possiamo fare affidamento sulla buona volontà dei singoli, bisogna cambiare il sistema”. I vescovi angolani di recente hanno affermato che la povertà del Paese rischia di venire “normalizzata”. Nel 2022 il presidente João Lourenço ha investito nel ritorno della multinazionale dei diamanti, De Beers, e nella Rio Tinto. Il giacimento di Luele, il più grosso deposito diamantifero del Paese, è in grado di produrre 628 milion di diamanti nell’arco di 60 anni. “Ma tutto questo non risolve il paradosso della povertà.”
Remissione e moralizzazione
Dal Sud Kivu, in Congo, don Davide Marcheselli, sacerdote associato ai saveriani, dice che la proposta di Papa Francesco ricorda quella del Giubileo del 2000. “Quella di oggi è una proposta importante, molto giusta e però utopica: all’epoca non diede risultati. Il debito consente di tenere in stato di schiavitù le persone. In Congo e in genere nei Paesi altamente indebitati, la cancellazione dovrebbe andare di pari passo con una moralizzazione delle élite. La cancellazione del debito tout court non basta, serve una conversione dei governanti”.