In Italia una donna su quattro non lavora, anche se vorrebbe e potrebbe farlo, perché disoccupata o “scoraggiata”, o lavora troppo poco perché è intrappolata in un contratto part-time che le è stato imposto. Al Sud la quota raddoppia: il tasso di “non lavoro” sale al 42%. “In Sicilia, Campania e Calabria circa una donna su due è disoccupata, scoraggiata o sottoccupata”. La denuncia viene da Luca Bianchi, direttore generale Svimez.
Aumentano le “scoraggiate”
“Dati che fanno molta più paura del tasso di disoccupazione ufficiale, che tiene conto solo di chi, tra le donne e gli uomini tra i 15 e i 74 anni, ha fatto almeno un’azione di ricerca attiva di lavoro nel periodo considerato dall’indagine statistica.” Svimez spiega che il tasso di disoccupazione femminile nel quarto trimestre 2023 è sceso all’8,7% (al Mezzogiorno era però quasi il doppio), un dato che sicuramente indica passi in avanti rispetto al passato. Il problema è però che in Italia il numero degli “scoraggiati”, cioè di chi ha smesso di cercare lavoro perché non pensa di riuscire a trovarlo, e dei sottoccupati è particolarmente alto rispetto agli altri Paesi Ue. E quindi il tasso di disoccupazione da solo racconta poco: “in Italia il tasso di non lavoro è pari al 19,3% e riguarda complessivamente 5,3 milioni di persone.”
Il limbo del non lavoro
Negli altri Paesi Ue non c’è questa distanza così “enorme” tra i disoccupati “ufficiali” e tra chi invece rimane in questa specie di limbo del non lavoro. Nella Ue-27 il labour slack (indicatore Eurostat corrispondente al tasso di mancata partecipazione) è all’11,1%. Gli uomini sono avvantaggiati rispetto alle donne, ma le distanze sono molto più contenute. Se poi si guarda Paese per Paese, in Germania il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro è appena al 6,5%, e la distanza tra uomini e donne di appena mezzo punto percentuale. Nella classifica Eurostat l’Italia è il Paese con i dati peggiori, sia in assoluto, sia per le donne. Dopo di noi la Spagna, con un tasso di mancata partecipazione femminile del 22,5%, e la Grecia, con il 19,9%.
Il labour slack
Ma le distanze che più dovrebbero far riflettere in realtà sono quelle all’interno del Paese. Tra il Trentino Alto Adige e la Sicilia il labour slack al femminile si moltiplica per quattro, passando dall’11.3% al 47,4%. “Nel Mezzogiorno – rileva Luca Bianchi – c’è da un lato un deficit di occupazione nei servizi alla persona, il settore dove più cresce l’occupazione femminile nel resto dell’Europa. E dall’altro una scarsa domanda di servizi, perché i redditi sono bassi e le famiglie non possono permetterseli.” Succede per esempio per gli asili nido: ce ne sono pochissimi rispetto alle Regioni del Nord Italia, ma d’altra parte sono anche poche le donne che lavorano, e quindi la domanda rimane contenuta.
Le distorsioni da regolare
Dietro tutta questa “disoccupazione ombra” c’è naturalmente anche il lavoro nero, soprattutto nel Mezzogiorno. Che diventa anche un elemento del part-time involontario, che in Italia ha un’incidenza del 57,9% (la più alta in Europa). In molti settori del terziario si preferiscono contratti di 18 ore settimana-li, che però diventano 40 al bisogno, con pagamenti di straordinari che spesso finiscono fuori busta. E così il lavoratore rimane intrappolato, senza poter cercare un secondo lavoro che gli potrebbe permettere di ottenere un reddito fisso mensile più alto. Quella che doveva essere una misura di conciliazione, insomma, diventa una gabbia, soprattutto per le donne.