Dopo decenni di distruzione delle industrie, delocalizzazioni e sfoltimento di manodopera, soprattutto i paesi occidentali stanno ritornando a politiche industriali più realistiche. Probabilmente anche a questo si riferiva Mario Draghi, incaricato dalla Commissione europea di redigere un report sulla concorrenza, quando nei giorni scorsi ha detto che l’Eurozona ha bisogno “di un cambiamento radicale.” Dichiarazioni e suggerimenti si susseguono in vista delle elezioni europee e anche il Fondo Monetario Internazionale, in un report, prende atto che “molti paesi stanno intensificando la politica industriale per stimolare l’innovazione in settori specifici nella speranza di riaccendere la produttività e la crescita a lungo termine, comprese le preoccupazioni per la sicurezza.”
La politica industriale
o, che “grandi iniziative” stanno nascendo in tutto il mondo, come il “Chips” e la legge sulla scienza degli Stati Uniti, che finanzierà la ricerca nazionale e la produzione di semiconduttori, il piano industriale del “Green Deal” dell’Unione europea, che sostiene la transizione del blocco verso la neutralità climatica, la nuova direzione sull’economia e la politica industriale in Giappone, o il “K-Chips Act” in Corea, insieme a politiche di lunga data nelle economie emergenti dei mercati come la Cina. “La politica industriale, in cui i governi sostengono i singoli settori, può guidare l’innovazione se fatta bene.” Ma trovare il giusto equilibrio è una considerazione cruciale, poiché la storia è piena di storie cautelative di errori politici, alti costi fiscali e ricadute negative in altri paesi.”
Politiche fiscali ben progettate
Questa recente svolta verso la politica industriale per sostenere l’innovazione in settori e tecnologie specifici – avverte il Fondo Monetario – “non è una bacchetta magica” perché servono anche politiche fiscali ben progettate che sostengono l’innovazione e la diffusione della tecnologia in modo più ampio, con un’enfasi sulla ricerca fondamentale che costituisce la base dell’innovazione applicata.
Secondo il Fmi “il sostegno fiscale all’innovazione dovrebbe essere mirato a settori specifici perché il perseguimento di queste politiche genera guadagni di produttività e benessere solo a condizioni rigorose: quando i settori interessati generano benefici sociali misurabili, come minori emissioni di carbonio o maggiori ricadute di conoscenze in altri settori; quando le politiche non discriminano le imprese straniere; e quando il governo ha una forte capacità di amministrare e attuare le politiche che decide.”
Attenzione ai danni
L’Fmi sottolinea anche il fatto che la maggior parte della politica industriale si basa fortemente su sussidi costosi o agevolazioni fiscali, che possono essere dannosi per la produttività e il benessere, se non effettivamente mirati. Così come si specifica che i sussidi all’innovazione verde dovrebbero essere trasparenti, focalizzati sugli obiettivi ambientali e integrati da una solida tariffa del carbonio per ridurre al minimo i costi fiscali. Insomma “le economie tecnologicamente avanzate farebbero bene a scegliere un mix di politiche che supporti l’innovazione in modo più ampio, soprattutto perché la ricerca fondamentale con applicazioni ampie è solitamente sottofinanziata.”
Sovvenzioni mirate
Il Fondo monetario stima che politiche per la ricerca e lo sviluppo dell’innovazione applicata alla imprese in grado di impiegare almeno lo 0,5% del Pil avrebbero risultati anche di aumenti del 2% dello stesso Pil, soprattutto per le economie avanzate. “A questo livello di spesa, nel lungo termine, si ridurrebbe anche il rapporto debito/Pil.” A patto che le sovvenzioni siano “mirate” e gli incentivi fiscali siano “di facile accesso.” Per tutti i paesi, una più stretta cooperazione internazionale e un maggiore scambio di conoscenze sono fondamentali per accelerare le trasformazioni verdi e digitali e raggiungere un futuro più prospero.