I “cattivi investimenti del welfare italiano” spiccano dal Rapporto sul Bilancio del Sistema previdenziale italiano curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari (CSRIP) Previdenziali. Un quadro generale “che richiama nuovamente l’attenzione sulla necessità di separare previdenza e assistenza, contenendo maggiormente quest’ultima. Una sintesi articolata e complessa degli andamenti di spesa pensionistica, entrate contributive e saldi nelle differenti gestioni pubbliche e privatizzate, cui si aggiunge un’importante opera di riclassificazione utile sia a tracciare un bilancio del 2022, ultimo anno di rilevazione disponibile, sia a effettuare previsioni sulla sostenibilità di medio e lungo periodo del welfare italiano.
Spendiamo molto e male
Il focus sul welfare rivela che complessivamente, il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale è ammontato nel 2022 a 157 miliardi, con un aumento di 12 miliardi rispetto ai 144,2 del 2021. Dal 2008, quando la spesa per assistenza ammontava a 73 miliardi, gli oneri a carico dello Stato sono più che raddoppiati, con un tasso di crescita annuo del 7,67%, addirittura di 3 volte superiore a quello della spesa per pensioni che sono però sorrette da contribuzione di scopo. “Il tutto mentre il debito pubblico si avvicina pericolosamente ai 3mila miliardi e, secondo i dati Istat – spiega il presidente del Centro Studi, Alberto Brambilla – il numero di persone in povertà continua a salire (quelle in povertà assoluta erano 2,113 milioni nel 2008 e 5,6 nel 2021): verrebbe da dire che non solo spendiamo molto ma che spendiamo anche male.
Resta poco per altro
Dal report si evidenzia che sono soprattutto “due i rapporti che danno l’idea dell’incidenza del welfare sulla vita economica del Paese: quello sul Pil, che vale il 29,31% con l’esclusione della “casa”, e quello sulla spesa pubblica totale, pari al 51,65%.” In buona sostanza, al welfare italiano è destinato poco meno di un terzo di quanto si produce e più della metà di quanto si spende in totale. “Giusto per avere un termine di raffronto – commenta Brambilla – a scuola e università sono destinati circa 70 miliardi contro i circa 80 per gli interessi sul debito pubblico, il che dovrebbe far riflettere tanto la politica sempre pronta a elargire nuovi sussidi sia i cittadini, pronti a ogni tornata elettorale a “premiare” le promesse più generose, senza domandarsi chi dovrà poi sostenerle finanziariamente o a quali altre fondamentali funzioni dello Stato saranno sottratte.”
Pensioni in ‘equilibrio’
Se per INPS e Inail si può parlare di “equilibrio”, vale a dire di un sistema pensionistico e assicurativo in grado di autosostenersi con i contributi versati da lavoratori e imprese, lo stesso non può dirsi per assistenza, sanità (intorno ai 131 miliardi l’importo della spesa) e welfaredegli enti locali (circa 11 miliardi) che, in assenza di contributi di scopo, devono appunto essere finanziati attingendo alla fiscalità generale. Itinerari Previdenziali stima che per finanziare sanità e assistenza, nel 2022, siano occorse pressoché tutte le imposte dirette IRPEF, addizionali, IRES, IRAP e ISOST e anche circa 40 miliardi di imposte indirette. Di conseguenza, per sostenere il resto della spesa pubblica non rimangono che le residue imposte indirette, le altre entrate e soprattutto la strada del “debito”, ponendo peraltro anche un tema di equità e sostenibilità del sistema. Il 77,84% degli italiani dichiara redditi da zero fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 25,74% di tutta l’IRPEF, un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa per le principali voci di spesa di welfare, il cui finanziamento grava quindi sulle spalle degli altri versanti e, in particolare, di quei 5 milioni di contribuenti che dichiarano redditi oltre i 35mila euro.