Il grande appuntamento annuale delle Nazioni Unite sull’emergenza climatica, si svolge quest’anno a Dubai. Già in questa frase c’è tutto il senso del prendersi in giro collettivo, una sorta di green washing di sistema in cui la governance del mondo di fronte allo sconvolgimento della vita sul Pianeta realizza una liturgia verbale anziché azioni concrete. Da 28 anni e siamo ancora a un’emergenza? Qualcosa non quadra. Intanto si fa passare per unanime visione dell’emergenza qualcosa che stride con il convincimento di tante leadership mondiali. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha detto che l’umanità è in bilico eppure quanti in questo mondo scontano il dramma che la fine mese arriva prima della fine del mondo? Quanti sono impegnati a far finire la vita del proprio vicino prima che arrivi presto la fine di tutto il mondo? In altri termini, la Cop28 a me sta sembrando più un collettivo rito di un mondo che si vorrebbe, che un organismo partecipato e consapevole sul ruolo dell’uomo rispetto al pianeta. La scelta di Dubai poi, evoca tutte le contraddizioni possibili. Siamo nell’emirato povero di petrolio, dello stato federale petrolifero UAE; quello che ha puntato sul turismo… insostenibile! È quel paese che ha eretto nel deserto una città in cui è possibile sciare in un centro commerciale tutto l’anno; ha costruito l’isola che non c’era più grande al mondo, The Palm e altre amenità che sono straordinari produttori di anidride carbonica e strutture compromettenti gli ecosistemi. Pratiche al cui confronto tombare fiumi e torrenti in Italia – e poi meravigliarsi per la bomba d’acqua – è un gioco da ragazzi. E così ci si ritrova per cercare un compromesso (le decisioni alle Nazioni Unite si assumono all’unanimità)… al ribasso! E allora vediamoci ogni anno, in giro nel mondo per parlare di cambiamento climatico e di un mondo più bello che vorremmo a parole ma che non esiste perché non c’è interesse. Eppure qualcosa sta cambiando: l’attenzione e la partecipazione delle opinioni pubbliche nei paesi democratici e la convenienza economica grazie all’innovazione tecnologica a essere sostenibili.
La sfida resta la governance del mondo: l’evidente superamento dello schema post bellico a 5 delle Nazioni Unite; la terza guerra mondiale a pezzi; le migrazioni climatiche e un nuovo modello di sviluppo sul quale riflettere insieme. Per me son queste le ragioni di Speranza che prevalgono sull’ipocrisia della passerella, per quei tantissimi che “solfeggiano” sulle note della sostenibilità senza scrivere sullo spartito della storia note originali. Devo essere più chiaro? Vorrei un passo verso la Pace nel mondo. Devo fare almeno un nome per capirci sul senso di ridicolo e velleitario, da evento pubblicitario che trasuda? Non si può sentire Stella McCartney (figlia del celebre padre Paul) che scopre che la moda è altamente inquinante… L’Italia, al netto delle cinesate, realizza tra produttori e consumatori un modello unico di Eccellenza e Sostenibilità con oggetti e indumenti belli e rispettosi dell’ambiente e della salute dell’uomo, destinati a durare nel tempo, senza ricorrere a lavoratori bambini, alla ricerca continua di materiali innovativi: lo sanno tutti, è il bello accessibile del Made in Italy. Anche i cugini francesi che cercano di comprarci tutto il settore, puntando al lusso. E se poi pensiamo ai settori strategici, alla sicurezza, all’innovazione i ragionamenti in geopolitica si complicano ancora di più. Per definire cosa è accaduto sulla scelta di Expo 2030 dire che dalla transizione ecologica siamo passati alla transazione economica è super corretto: Roma 2030 bocciata e si afferma Ryad come risultato mercantile. E l’Europa dov’è? Se con questo spirito si costruiscono accordi la Cop 28 a Dubai è fallita già sul nascere. Aspettiamo insieme la fine… per essere smentiti? Speriamo.