Blinken ha incontrato Abu Mazen ed è stato accordato che “Anp potrà assumere responsabilità a Gaza.” È stato il primo incontro tra i due in questo mese di guerra tra Hamas e Israele e, probabilmente, diventerà l’incontro chiave verso il cessate il fuoco. L’Autorità nazionale palestinese, è stato detto, “si assumerà tutte le sue responsabilità” per la Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza nel quadro “di una soluzione politica globale.” Toni distensivi, ieri, anche da parte dalla Guida suprema dell’Iran Ali Khamenei che ha incontrato a Teheran il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh: “la politica permanente della Repubblica islamica dell’Iran”, ha dichiarato l’ayatollah, “è quella di sostenere le forze di resistenza palestinesi nei confronti degli occupanti sionisti.”
Vicina la “pausa umanitaria”
Blinken sta facendo un lavoro di altissima diplomazia e dovrebbe riuscire anche a incontrare il Presidente turco Erdogan che, però, ha in programma dei comizi che potrebbero impedire un colloquio personale con il diplomatico americano. Ma la posizione turca è nota: chiede il cessate il fuoco. Posizione nota anche quella dell’ex Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama che è intervenuto con un trailer di un’intervista che sarà diffusa nei prossimi giorni e con una frase molto pensata ha detto: “quello che ha fatto Hamas è stato orribile, ma quello che sta accadendo ai palestinesi è insopportabile” per concludere che “tutti noi siamo complici in una certa misura.” Se le parole significano qualcosa in una situazione come questa, allora è il caso di cominciare a sperare che il lavoro di Blinken per una “pausa umanitaria” possa essere vicino all’obiettivo. Anche il ministro degli Esteri francese Catherine Colonna, in visita in Qatar, ha chiesto una pausa umanitaria “immediata” nella guerra tra Israele e Hamas. E le ha fatto eco il ministero degli Esteri qatariota Al Thani secondo il quale gli sforzi per garantire il rilascio degli ostaggi richiedono un “periodo di calma”. Le fughe di notizie dalle trattative sono “dannose” e rendono difficile il lavoro per i mediatori.
Hamas blocca Rafah
Nel briefing quotidiano del contrammiraglio Daniel Hagari, portavoce militare di Israele, è stato ripetuto che Hamas si fa scudo “sistematicamente” di ospedali, scuole e sinagoghe. Una postazione di lancio di razzi di Hamas è stata trovata anche vicino ad una piscina per bambini e altre fosse di tiro e lanciarazzi in un vecchio parco giochi. Hagari ha illustrato i casi di comandi militari sotto l’ospedale al-Shifa (il principale di Gaza), nell’ospedale di Sheikh Hamed (un’istituzione finanziata dal Qatar) e sotto l’ospedale ‘Indonesiano’, nel nord della Striscia. “Sono stati oltre 2.500 gli obiettivi terroristici colpiti nella Striscia”, ha detto Hagari, dall’inizio delle operazioni a Gaza. E dunque anche ieri l’organizzazione umanitaria Mezzaluna rossa palestinese (Prcs) ha riferito su X che un edificio vicino all’ospedale al-Quds è stato colpito provocando “morti, feriti e martiri” senza specificarne il numero. Hamas sta anche forzando la chiusura del valico di Rafah perché ne condiziona l’apertura all’accettazione del cessate il fuoco. Ieri il valico è stato utilizzato solo per far entrare aiuti umanitari nella Striscia, ma non sono state fatte uscire persone, neppure coloro che hanno la doppia nazionalità.
Eliyahu parla di bomba atomica
Episodio increscioso ieri per il Governo israeliano con il ministro per gli Affari e il Patrimonio di Gerusalemme, Amichai Eliyahu, secondo il quale sganciare una bomba atomica sulla Striscia di Gaza è “un’opzione”, anche se ne andasse della vita dei 240 ostaggi israeliani perché “le guerre hanno un loro prezzo”. La dichiarazione ha trovato solo disapprovazione e il premier Netanyahu ha subito defenestrato il ministro sospendendolo “da tutte le sedute del governo, fino a nuovo ordine.” Gli spazi per i falchi si stanno restringendo in entrambi i fronti. Le posizioni sono tutte note e cambieranno con il cambiamento dello scenario a Gaza.
Combattenti italiani e nordafricani
Ieri, dopo una serie di rimpalli da servizi televisivi e agenzie di stampa, tutti con fonti anonime, ma dichiarate attendibili, è stato reso noto che “svariate centinaia” gli italiani, ”soldati riservisti o di leva”, starebbero combattendo contro Hamas in Israele. Alla comunità ebraica è stato chiesto di ”avvertire le famiglie” in Italia del pericolo di rappresaglie. Al-Jaazeera ha anche riferito che tra coloro che stanno combattendo contro Hamas molti ”non hanno alcun legame con Israele, non sono nati lì e non hanno parenti nella Palestina occupata” e “vanno a combattere i palestinesi per la loro appartenenza etnica o religiosa.” La televisione araba, a questo proposito, sottolinea che ”l’esercito israeliano può reclutare ebrei da tutto il mondo a condizione che abbiano un nonno ebreo e che prestino servizio per un periodo che va dai 18 ai 24 mesi senza la necessità di ottenere la cittadinanza ebraica.” Anche la televisione pubblica israeliana Kan si è soffermata su notizie simili. All’attacco di Hamas del 7 ottobre, è stato raccontato, hanno partecipato “combattenti stranieri.” Alcuni terroristi catturati in questi giorni, infatti, parlano un arabo diverso da quello di Gaza; più simile a quello dei Paesi del nord Africa. Ieri per la prima volta Israele ha permesso a dei giornalisti di entrare nelle aree di combattimento; era una troupe di Kan Tv guidata Carmela Menashe embeddata alla 12a Brigata.
Giornalisti morti
Un giornalista e quattro membri della sua famiglia sono rimasti uccisi in un raid israeliano nel Libano meridionale. Lo riferisce la Protezione Civile libanese. L’attacco è avvenuto nei pressi di Aynata, nel distretto di Bent Jbeil. Finora sono 36 i giornalisti e operatori dei media rimasti uccisi. La tragica conta la fa il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) secondo il quale 31 sono palestinesi, 4 israeliani e 1 libanese. Otto giornalisti sarebbero rimasti feriti, 3 risultano dispersi e altri otto sarebbero stati arrestati.