È salito a 229 il numero degli ostaggi israeliani sequestrati da Hamas. Oggi per lo Shabbat, il sabato ebraico, a Tel Aviv sono stati preparati altrettanti tavoli vuoti. Le famiglie pregano, chiedono risposte, temono il peggio. Dal Qatar erano circolate notizie di una imminente liberazione, ma le notizie si contraddicono di continuo. In guerra è così. Anche da Mosca sono arrivate rassicurazioni: gli esponenti di Hamas in Russia hanno condizionato la liberazione degli ostaggi al cessate il fuoco. E il mondo preme anche perché quasi la metà dei sequestrati sono di nazionalità estere. Ieri altre incursioni via terra e via mare nella Striscia di Gaza; decine di postazioni terroristiche mimetizzate sono state distrutte: un quartier generale di Hamas era sotto l’ospedale Shifa a Gaza. Piovono razzi sugli altri fronti; al confine col Libano e Cisgiordania e anche nel centro di Israele dove risuonano le sirene continuamente, costringendo la popolazione a correre nei rifugi.
Netanyahu: prima gli ostaggi
Dopo gli scoop del Wall Street Journal, ieri anche il New York Times ne ha pubblicano uno, secondo il quale il premier Netanyahu avrebbe rifiutato di firmare l’atto di invasione di Gaza e, tra l’altro, facendo irritare gli alti ufficiale israeliani. Lo stop sarebbe motivato dal fatto che il primo ministro vuole l’approvazione unanime dei membri del gabinetto di guerra. Cosa che potrebbe significare anche un non pieno accordo tra i membri oltre che la necessità di prendere tempo per i negoziati sugli ostaggi. Si discute anche se condurre l’invasione attraverso un’unica grande operazione o una serie di operazioni più piccole. Intanto un sondaggio pubblicato sul quotidiano Maariv, rivela che alla domanda se i militari debbano immediatamente passare ad un’offensiva di terra su larga scala, il 29% degli israeliani è d’accordo mentre il 49% ha detto che “sarebbe meglio aspettare” e il 22% è indeciso. Maariv commenta che i risultati sono in contrasto con il sondaggio del 19 ottobre scorso che rilevava il 65% di sostegno a favore di una grande offensiva di terra.
Al Jazeera: la trattativa progredisce
Il negoziatore israeliano Gershon Baskin ha espresso la convinzione che ci sia “ancora speranza” che si arrivi al rilascio dei 229 ostaggi. Tenere le persone in ostaggio, ha spiegato, “è contro l’Islam, è contro il Corano: dovrebbe essere contro ciò in cui Hamas crede”. A suo giudizio il governo israeliano accetterebbe il cessate il fuoco in cambio della liberazione degli ostaggi “purché non includa altre cose”. Secondo il negoziatore “il fatto che Israele stia aspettando significa che stanno valutando ogni possibilità per far uscire gli ostaggi dalla Striscia prima che le truppe entrino a Gaza. E questo è un segnale positivo”. La tv Al Jazeera, confermata da fonti israeliane, ha riferito che le trattative sullo scambio di prigionieri starebbe “progredendo rapidamente”. Ma il quotidiano russo Kommersant ha riportato le dichiarazioni di Abu Hamid, rappresentante della delegazione di Hamas, che da Mosca, ha condizionato il rilascio dei prigionieri civili al cessate il fuoco. La delegazione del gruppo palestinese non ha incontrato Putin e ha ripiegato sul viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov. A fine incontro ha comunque parlato il portavoce di Putin, Dmitry Peskov preoccupato per la “catastrofe umanitaria” in Medio Oriente: “il terrorismo in nessuna delle sue manifestazioni non può essere giustificato in alcun modo.” La Russia, ha spiegato, ritiene necessario mantenere i contatti con tutte le parti coinvolte nel conflitto israelo-palestinese e assieme a Teheran intende “continuare a coordinare gli sforzi per stabilizzare la situazione.”
Raid da terra e dal mare
L’Esercito di Israele ha parlato di 250 raid effettuati in 24 ore. Ieri un “aereo senza pilota”, intercettato ma che Iron Dome non è riuscito ad abbattere e si è schiantato a Taba, in Egitto, ferendo cinque persone. La minaccia proveniva, probabilmente, dal mar Rosso, lanciato da una nave, o dallo Yemen. Secondo Israele “è chiaro che c’è un coinvolgimento dell’Iran.” Il ministro della difesa Yoav Gallant aveva già spiegato in passato che i Pasdaran (i Guardiani della rivoluzione) hanno trasformato alcune navi commerciali in piattaforme di lancio di aerei senza pilota e anche di missili per creare ”basi terroristiche galleggianti.” Gli Stati Uniti non si sono fatti attendere dall’intervenire e, su ordine del Presidente Biden, hanno colpito due depositi di armi e munizioni della Guardie rivoluzionarie iraniane nell’est della Siria, al confine con l’Iraq. Cosa che ha fatto chiedere all’imam sciita Moqtaba al-Sadr la chiusura dell’ambasciata americana a Bagdad. Però dal Pentagono hanno precisato che i bombardamenti eseguiti “sono una cosa distinta e separata dal conflitto in corso tra Israele e Hamas.” Così anche Israele è intervenuta via mare con la “Flotilla 13” che ha distrutto altre infrastrutture terroristiche lungo la costa della Striscia.
Usa blocca fondi di Hamas
Gli americani hanno anche aperto il fronte finanziario: hanno emesso una seconda tranche di sanzioni contro Hamas. Il segretario di Stato Usa Antony J. Blinken ha detto che “gli Stati Uniti stanno imponendo sanzioni a otto individui chiave che sostengono Hamas, nonché a funzionari del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) coinvolti nel finanziamento e nell’addestramento di Hamas”. È stata presa di mira anche un’entità con sede a Gaza che secondo il Dipartimento del Tesoro Usa è servita da canale per fondi iraniani illeciti a Hamas e al gruppo della Jihad islamica palestinese. “L’azione sottolinea l’impegno degli Stati Uniti nello smantellare le reti di finanziamento di Hamas schierando le nostre autorità sanzionatorie antiterrorismo e lavorando con i nostri partner globali per negare ad Hamas la capacità di sfruttare il sistema finanziario internazionale”, ha affermato nel comunicato il vice segretario al Tesoro Wally Adeyemo. “Non esiteremo ad agire per indebolire ulteriormente la capacità di Hamas di commettere orribili attacchi terroristici prendendo di mira incessantemente le sue attività finanziarie e i suoi flussi di finanziamento”.
Oms e Onu e Eu per gli sfollati
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che circa 1.000 corpi non identificati, non ancora inclusi nel bilancio delle vittime, sono ancora sepolti sotto le macerie di Gaza. Le Nazioni Unite hanno espresso oggi preoccupazione per “i crimini di guerra che si stanno commettendo.” Mentre continuano a passare col contagocce dal valico di Rafah camion umanitari. Ieri l’hanno attraversato un ventina, ma altri 150 sarebbero fermi in attesi del via libera. L’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, è riuscita ad accedere a una quantità limitata di carburante per alimentare gli impianti di desalinizzazione e per distribuirlo a panetterie e ospedali. Per le strade si accumulano sfollati che però mancano di acqua e mezzi di sostentamento. Si accumula l’immondizia abbandonata e le situazione degli ospedali è al collasso. Dalle strade affiorano liquami. Il rischio di malattie e epidemie è molto alto. Un nuovo volo umanitario dell’Ue che trasporta 51 tonnellate di medicinali e materiale scolastico per conto dell’Unicef destinati ai civili di Gaza è partito ieri mattina da Copenaghen. Ne partiranno altri 5 a seguire. Secondo l’Onu, servirebbero almeno 100 camion al giorno per soddisfare i bisogni umanitari essenziali.
Patriarca: ritroveremo la pace
“Non siete soli. Tutta la comunità cristiana della Terra Santa e del mondo intero è con voi, prega per voi e vi sostiene. E ora abbiamo anche diciotto tra fratelli e sorelle che sono in paradiso pregando per voi e intercedendo per voi, sono loro la nostra forza”. Lo dice, in un video rivolto ai cristiani di Gaza, il Patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, riferendosi alle vittime del bombardamento dello scorso 19 ottobre sulla chiesa greco-ortodossa di San Porfirio.
“Non perdete il coraggio e la speranza”, esorta il porporato parlando in arabo, “ricordate che il Signore ècon voi e che noi siamo con voi”. Poi ha continuato in inglese: “Siate forti, sono sicuro che un giorno ci ritroveremo di nuovo insieme a Gaza in preghiera, con gioia, in pace.”