“La tragedia che qui si è consumata reca il peso di pesanti responsabilità umane, di scelte gravi che venivano denunziate, da parte di persone attente, anche prima che avvenisse il disastro”. Il dramma di cui ha parlato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è riferito a quanto avvenne il 9 ottobre del 1963, quando alle 22.39 una frana di 270 milioni di metri cubi di roccia si staccò dal Monte Toc e precipitò nell’invaso artificiale del Vajont, in Friuli-Venezia Giulia. La frana provocò un’onda di piena di 50 milioni di metri cubi d’acqua che scavalcò la diga e travolse i paesi di Longarone, Erto e Casso, causando la morte di 1.910 persone, tra cui 487 bambini. E il Capo dello Stato, proprio ieri, ha voluto ricordare la tragedia recandosi in quei luoghi colpiti dal disastro. “Siamo qui a rendere memoria di persone. Le persone che hanno abitato queste vallate. Quelle che sono morte il 9 ottobre 1963. Quelle che sono sopravvissute. Quelle che hanno dovuto lasciare le loro case e quelle che hanno lottato strenuamente per ricostruirle, per rimanervi”. Il Presidente ha parlato poi degli abitanti della Valcellina che sono rimasti a vivere nei luoghi della tragedia del Vajont e del loro insegnamento che “è l’ansia di riconciliarci con il mondo che ci ospita, con la natura e l’ambiente in cui siamo immersi. Perché i disastri cambiano i luoghi ma il futuro delle loro popolazioni dipende anche dalla resistenza di coloro che, come i valligiani di questi luoghi, non hanno ritenuto di arrendersi”. Per Mattarella, affinché si evitino sciagure come quelle di 60 anni fa, c’è la necessità di un’interazione dell’essere umano con l’ambiente, “perché l’uomo fa parte della natura, ma non deve diventarne nemico. Non si tratta di un tema di esclusivo carattere ecologico. Ce lo ha ricordato, pochi giorni addietro, anche Papa Francesco nella sua recentissima esortazione. Si tratta di saper porre attenzione e saper governare, con lungimiranza, gli squilibri che interpellano, mettendo in discussione, l’umanità e i suoi destini”.
La visita
Per onorare la memoria delle vittime, ieri il Presidente, accolto dai sindaci locali e dal Governatore della Regione Veneto Luca Zaia, ha fatto tappa al cimitero monumentale di Fortogna di Longarone, nel bellunese, deponendo una corona di fiori “nell’immenso sacrario a cielo aperto”. Emozionante il canto di 487 bambini (accompagnati dalla tromba di Paolo Fresu) che hanno ricordato le piccole vittime della tragedia con ‘Stelutis Alpinis’, mostrando su alcuni fogli i nomi di chi non riuscì a sopravvivere.
Ferita ancora aperta
Al fianco di Mattarella, il Presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana: “Nonostante il tempo trascorso da quell’immane catastrofe, la sua eco risuona ancora oggi nei cuori e nelle coscienze di tutti noi”, le sue parole. La tragedia del Vajont, per il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, poteva essere evitata: “Un disastro da ricordare e commemorare, con una preghiera per le vittime, per non dimenticare mai”, ha scritto sui propri social. Il Governatore Zaia ha parlato di una ferita tremenda, ancora oggi non rimarginata: “Questo anniversario ci porta, ancora una volta, a misurarci con una delle peggiori sciagure causate dalla colpevole presunzione dell’uomo di poter piegare la Natura ai suoi interessi, anche a costo di un rischio immane”. “Ancora oggi non c’è giusta attenzione ad ambiente e dissesto idrogeologico” il messaggio del deputato Pd Stefano Vaccari. “Sono vere per noi le parole dette da Mattarella qualche giorno fa a Torino, ‘Il Vajont continua a dare una lezione terribile e indimenticabile di quanto sia importante la tutela del territorio’. È così per tutti i sindaci italiani che oggi guardano a quei territori bellunesi, ai piedi delle Dolomiti, con dolore ma anche con la fiducia di una rinascita”, la nota di Ennio Vigne, Presidente dell’‘Unione nazionale comuni comunità enti montani’ del Veneto.