L’ondata di notizie e, purtroppo, di fake news sul Coronavirus ha riportato in auge il tema, mai sopito, della centralità della divulgazione medico – scientifica.
Si tratta di un argomento affascinante e al tempo stesso complesso: quando ci si occupa di scienza e di medicina il rischio della disinformazione è molto elevato.
Se a ciò aggiungiamo il boom che hanno avuto i Social negli ultimi anni e la probabilità che determinati contenuti diventino “virali” grazie alle condivisioni, allora si può agevolmente comprendere quanto sia utile muoversi in questo ambito con estrema cautela.
Una comunicazione sbagliata può mettere a repentaglio vite umane. Ecco perché, in circostanze come quelle attuali, è fondamentale coinvolgere professionisti ed esperti, evitando di sollevare polveroni inutili e dannosi.
Il coinvolgimento emotivo generale è comprensibile ma poi bisogna lasciare spazio a chi ha le competenze e l’esperienza per offrire proposte e trovare soluzioni.
Non posso non esprimere amarezza e disappunto per il modo in cui l’Italia viene “raccontata” dai media internazionali.
In maniera del tutto improvvida ed ingiusta siamo bollati come gli untori d’Europa.
Solo il New York Times scrive che abbiamo molti i casi solo perché, a differenza di altri Paesi, pratichiamo lo screening con il tampone faringeo.
Purtroppo – e lo dico con grande rammarico – non stiamo comunicando bene come Paese. E questo è fonte di grande preoccupazione. Mi dispiace moltissimo che il buon lavoro fatto dall’Italia si stia rivelando un boomerang.
Abbiamo tutte le risorse necessarie per uscire da questo cono d’ombra nel quale siamo finiti e cominciare ad evidenziare quanto di positivo è stato fatto sul fronte della ricerca e della prevenzione.
Ne va della credibilità dei nostri ricercatori, che sono tra i migliori in assoluto, e di tutti noi che abbiamo a cuore le sorti della nostra grande Italia…