mercoledì, 15 Gennaio, 2025
Lavoro

Dal 2019 la difficoltà di trovare lavoratori è aumentata del 22%

L’87 per cento degli occupati in Italia è certo di dedicare troppo tempo al lavoro. Il 64,4 per cento ritiene che il lavoro serva solo ad avere le risorse economiche necessarie a vivere (quota che sale al 69,7 per cento nel caso dei giovani). A livello globale, il 62 per cento dei Millennials (i nati cioè nel periodo 1981-1996), afferma che il lavoro è centrale per la propria identità, ma tra i più giovani (la Generazione Z, composta dai nati tra il 1997 e il 2012), solo il 49 per cento ha la stessa opinione.

Sono alcuni dati discussi di recente in un incontro promosso da Unioncamere e Fondazione per la sussidiarietà. Sembrerebbe esistere un insuperabile mismatch tra domanda e offerta di lavoro, ma siamo di fronte anche a una continua evoluzione di che cosa, le successive generazioni, intendono per “lavoro.”

Unioncamere: le idee dei giovani
”Negli ultimi 15 anni” ha confermato Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, “il mondo del lavoro ha subito molti cambiamenti.” Dal punto di vista dei numeri l’occupazione è cresciuta molto meno che nel resto della Ue (+0,9 per cento tra il 2007 e il 2022 a fronte del +7,3), tanto che il tasso di occupazione attuale supera di poco il 60 per cento a fronte di una media Ue di circa il 70 per cento. Ad aumentare è stata soprattutto l’occupazione femminile (+7,5 per cento nel periodo), quella della laureati (+5,2) e degli stranieri (+1,6) mentre per i giovani il dato è fortemente negativo (-26,2).

“In questo scenario – afferma Tripoli – ci sono diversi elementi che stanno modificando il senso del lavoro, soprattutto tra i giovani. Tra questi, la volontà di raggiungere un migliore equilibrio tra vita privata e impegno professionale. Per questo tante imprese stanno cambiando le proprie policy nei riguardi del personale, agevolando modelli organizzativi più flessibili e favorendo la crescita professionale dei propri dipendenti.”

Vittadini: persona al centro
La sfida vera, secondo Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, “è rimettere la persona al centro dell’impresa e dell’economia. Bisogna quindi contrastare sia la teoria neo-liberista che subordina il lavoro al profitto, troppo spesso speculativo, sia l’assistenzialismo che ne umilia il valore”.

Mentre il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, ha sottolineato come il mismatch tra domanda e offerta di lavoro diventa un fenomeno “sempre più preoccupante” e ricorda che “già prima del Covid la difficoltà per le imprese di reperire nel mercato del lavoro le figure professionali ricercate riguardava poco di più di un quarto delle possibili assunzioni, mentre oggi riguarda circa la metà dei profili lavorativi richiesti.”
Giusto equilibrio vita e lavoro
Secondo i dati elaborati da Unioncamere e Fondazione della Sussidiarietà oggi si cerca soprattutto solidità economica e a segiore un giusto equilibrio tra vita e lavoro (fattore fondamentale per il 58 per cento degli italiani); la condivisione dei valori dell’azienda (essenziale per il 48 per cento dei lavoratori); la sicurezza (il 66 per cento dei lavoratori rifiuterebbe un nuovo ruolo se non avesse adeguate garanzie al riguardo). Poi va considerata la spinta ad ottenere un salario più elevato (45 per cento), migliore conciliazione vita-lavoro (35 per cento), maggiori opportunità di carriera e di sviluppo delle competenze (34 per cento), flessibilità negli orari di lavoro e accesso allo smart working (34 per cento). Tutte motivazioni che inducono a cambiare lavoro anche per chi lo ha già e che hanno innescato il fenomeno delle “grandi dimissioni.” Dinamica che ha interessato anche il mercato del lavoro italiano dove le dimissioni richieste dal lavoratore sono aumentate del 13,9 per cento nel 2022 rispetto al 2021 (+269mila), sebbene a inizio 2023 si stia assistendo a un certo rallentamento (-3,7 per cento, pari a -19.307 dimissioni nel primo trimestre 2023 rispetto al primo trimestre 2022).

Le imprese corrono ai ripari

Da parte loro le imprese hanno reagito e, come mostra un’indagine congiunta Unioncamere-Istituto Tagliacarne, il 66 per cento delle imprese adotta pratiche per trattenere i talenti in azienda. Il 63 per cento punta sugli incentivi economici; il 50 per cento su un miglior equilibrio vita-lavoro; il 45 per cento sulla valorizzazione del ruolo e l’aumento di autonomia del lavoratore; il 15 per cento sullo sviluppo del capitale umano attraverso attività di formazione. Forme nuove, quindi, di dialettica lavoratore azienda, che stanno producendo risultati: Il 24 per cento delle imprese che adottano più iniziative per trattenere i talenti prevede un aumento della produttività nel 2024, contro solo il 14 per cento del resto delle altre imprese.

La tecnologia cambia il mercato

Insomma il concetto di lavoro sta cambiando e secondo i promotori del convegno la causa principale è la tecnologia. La trasformazione sarebbe, infatti, nella “modifica l’organizzazione del lavoro (i 570mila lavoratori italiani in smart working nel pre-Covid, sono diventati 5,3 milioni nel post-Covid); nell’ampliamento delle forme di lavoro; in Italia circa 700mila persone lavorano attraverso piattaforme digitali. E, infine, nell’evoluzione delle competenze richieste agli occupati: entro il 2025, nel mondo, per il 73 per cento dei lavoratori saranno necessarie attività di re-skilling e up-skilling. Infine un dato sintetico e ritenuto “molto preoccupante e singificativo:” dal 2019 a settembre 2023 la difficoltà di reperimento di figure professionali, in Italia, è passata dal 26 per cento al 48 per cento delle opportunità offerte dal sistema produttivo.

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