Le vendite al dettaglio (l’ultimo anello della catena di distribuzione) relative al mese di luglio sono aumentate in valore, ma sono diminuite in volume. Leggendo tra le righe, questo significa che i consumatori hanno speso più soldi per beni e servizi, ma acquistandone di meno. E dunque non sono proprio il massimo, dal punto di vista finanziario, i dati forniti ieri dall’Istat in merito alle vendite al dettaglio. Scorrendo i dati, l’aumento del valore delle attività economiche rispetto al mese precedente è stato dello 0,4% e in calo dello 0,2% in volume. A giugno invece il calo era stato tanto in valore (-0,2%) quanto in volume (-0,7%). Su base annua il dato è ancora più allarmante: a fronte del +2,7% in valore è stato archiviato un -4,5% in volume.
Per quanto riguarda il trimestre maggio-luglio rispetto a quello precedente, le vendite al dettaglio sono aumentate in valore (+0,7%) e diminuite in volume (-0,6%). Le vendite dei beni alimentari sono cresciute in valore (+1,3%) e calati in volume (-0,5%) così come quelle dei beni non alimentari (+0,3% in valore e -0,6% in volume).
Inflazione e guerra
Sono chiaramente due i fattori che hanno portato a questo deludente risultato. In primis l’inflazione che in pratica costringe la gente a spendere più soldi per acquistare la stessa quantità di beni e servizi rispetto al passato; a seguire la guerra in Ucraina che ha causato un aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime andando a ‘toccare’ l’aumento dei costi di produzione per le imprese che dunque hanno dovuto aumentare i prezzi dei loro prodotti.
La preoccupazione
I numeri elencati dall’Istituto di statistica preoccupano, e non poco, le associazioni che rappresentano sia le imprese sia i consumatori. La Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato) si è detta preoccupata da una crisi che sembra non trovare fine, da una persistente riduzione del potere d’acquisto da parte delle famgilie: “L’inflazione continua quindi la sua nefasta azione e chiediamo al governo, di conseguenza, di accelerare gli interventi per raffreddare i prezzi, a partire dal taglio delle accise sui carburanti”.
Finita la spinta post Covid
Per Confcommercio sembra oramai finita la spinta post-pandemica e il rischio di tornare a tassi di crescita dello ‘zero virgola’ comincia a farsi molto concreto: “Per il 2023, lo stesso traguardo di una variazione del Pil dell’1% è in discussione”. I dati sul commercio al dettaglio, per l’Adoc, sono l’ennesima conferma di un trend negativo che, nell’ultimo anno, sta consumando i bilanci delle famiglie: “Bisogna aiutare le persone a recuperare il potere d’acquisto – le parole della Presidente dell’Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori Anna Rea – rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale, e non solo per sei mesi, azzerare le accise sui carburanti e costruire un paniere vero e rappresentativo delle reali necessità delle famiglie”.
Situazione difficile
Secondo Confesercenti le condizioni attuali dell’economia italiana sono “molto più difficili di quelle immaginate lo scorso aprile in sede di stesura del Def, le misure di difesa del potere d’acquisto di famiglie e lavoratori acquisiscono un ruolo fondamentale”. “Continuiamo a registrare un calo dei consumi da parte delle famiglie, con un effetto significativo soprattutto sui volumi di vendita del comparto alimentare che segnano su base annua un calo del -4,7%”, ha fatto notare Carlo Alberto Buttarelli, Presidente di Federdistribuzione. Secondo il Codacons, i dati comunicati dall’Istat significano che, al netto dell’inflazione e considerata la spesa per consumi delle famiglie, “gli acquisti calano in volume per complessivi 34 miliardi di euro annui, pari in media a -1.316 euro su base annua a famiglia”.