Non è stato l’uomo a inventare il fuoco. Così come non è stato il primo a usarlo come arma. Lo scrive Guido Chelazzi, professore emerito di Ecologia nel suo ‘L’impronta originale’. Con la presenza sempre più diffusa e massiccia degli esseri umani, però, le situazioni “naturali” di autocombustione e quelle colpose o dolose degli uomini, rischiano di procurare morti e danni incalcolabili e così oggi le tecnologie e, soprattutto i satelliti, sono utilizzate per un capillare monitoraggio “dall’alto”.
In Europa, a esempio, è attivo il Global Wildfire Information System (GWIS) che nel programma 2020-2022 ha riunito tutte le fonti di informazioni esistenti a livello regionale e nazionale per arrivare a una “visione completa” e fornire strumenti per supportare gli interventi operativi. Sono integrate le attività di controllo di tutto il mondo, anche le agenzie spaziali, compreso la Nasa. GWIS visualizza costantemente la situazione in tempo reale e fornisce previsioni di pericolo fino a dieci giorni di anticipo. Previsioni di fulmini per un giorno e informazioni minuto per minuto sugli incendi attivi. Tutti i dati, poi, sono processati e diventano statistiche nazionali o regionali, comprese panoramiche storiche dei regimi antincendio a partire dal 2002.
Per il lungo termine sono disponibili previsioni meteorologiche antincendio e servizi dati che possono aiutare a capire e prevedere anche perché, soprattutto, gli incendi boschivi giocano un ruolo rilevante nel cambiamento climatico con impatto sia su scala globale che su scala locale.
Ricerca, Italia all’avanguardia
Quanto all’Italia, il monitoraggio da satelliti è svolto e utilizzato da molti istituti nazionali, come a esempio l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia o il Cnr. Quest’ultimo, a esempio, da anni, in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria e Fisica dell’Ambiente dell’Università degli Studi della Basilicata, ha messo punto la tecnica “RST-Fires”, basata sull’analisi di dati satellitari “multi temporali”.
Tutto coordinato con la Protezione Civile e molti enti locali e comunità montane. Il monitoraggio da satellite, rispetto all’avvistamento tradizione, è ormai ritenuto molto più affidabile, tempestivo e in grado di permettere il controllo di aree altrimenti inaccessibili e a costi relativamente bassi. Danni aggiornati a luglio L’Ispra, il nostro Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale rileva un incremento dell’estensione delle aree percorse da grandi incendi boschivi. Dal primo gennaio a oggi sono stati bruciati oltre 49 mila ettari, di cui 8.500 di ecosistemi forestali.
Le foreste coinvolte risultano in gran parte macchia Mediterranea (64%) e pineta (21%). Il 95% delle aree bruciate fino a oggi sono in Sicilia e in Calabria. Più colpita la provincia di Palermo (oltre 14500 ettari, di cui il 21% foreste), la provincia di Reggio Calabria (8100 ettari, il 17% di foreste), la provincia di Messina (4362 ettari, il 22% di foreste) e la provincia di Siracusa (3808 ettari, il 24% foreste). In crescita anche il numero di aree naturali protette con ecosistemi forestali percorsi da incendio: quelle maggiormente colpite sono in provincia di Palermo (7), in provincia di Siracusa (1), in provincia di Messina (1) e in provincia dell’Aquila.
Un solo evento rilevante si è verificato in Liguria, vicino al confine con la Francia. In Sicilia, da oggi, saranno disponibili 120 nuovi mezzi antincendio già acquistati dall’ex giunta Musumeci e che hanno concluso gli iter burocratici per poter essere messi all’opera. Gli esseri umani non avranno inventato il fuoco, ma sicuramente devono continuare a studiare i modi per controllarlo.
L’ambivalenza del fuoco
Seguendo la tesi del libro di Guido Chelazzi, si comprendono più cose e soprattutto come l’uomo adoperi gli incendi calcolando il suo vantaggio, ma non mettendo a repentaglio l’habitat da cui trae risorse. “Se vi capita di viaggiare dall’Europa al Sudafrica tra febbraio e marzo con un volo di linea notturno”, spiega Guido Chelazzi, “e non state tutta la notte a dormire o a guardarvi il solito film offerto dalla compagnia aerea, ma di tanto in tanto date un’occhiata dal finestrino, quando l’aereo sorvola la fascia a sud del Sahara tra Nigeria, Camerun, Ciad meridionale, Sudan meridionale ed Etiopia, è molto probabile che vi capiti di vedere enormi incendi.
Sono in gran parte provocati dall’uomo per evitare che la savana si riempia di cespugli e arbusti o per creare aree favorevoli alle coltivazioni dentro le foreste. Vittime, danni e paura, ma anche vantaggi economici; da sempre questa ambivalenza lega il fuoco all’umanità”.
Le piante resistenti
Gli incendi sono sulla Terra da sempre: dilagano sul pianeta da almeno 400 milioni di anni. I botanici hanno, addirittura, descritto piante “pirofile” come l’Acacia delle savane o l’imponente Pinus ponderosa o gli arbusti della macchia mediterranea, come specie resistenti al fuoco e capaci di ricrescere velocemente anche attraverso un incremento della germinazione dei semi. Anzi, vi sono piante i cui semi vengono rilasciati solo se l’involucro che li contiene è investito da fiamme e altri che germinano solo se vengono riscaldati.