Il calo demografico in Italia non discende semplicemente da fattori economici, ma riflette una combinazione di elementi sociali, politici e culturali che rendono il nostro Paese “ostile” soprattutto verso le mamme. Tra le cause della bassa natalità restano senza dubbio gli alti prezzi del mercato immobiliare, il costo della vita e gli stipendi fermi, che spingono le persone a rimanere in famiglia molto più a lungo della media UE. Senza contare che i figli stessi rappresentano un onere finanziario significativo, che si protrae nel tempo. Ma sono anche la mancanza di politiche di sostegno alle famiglie, unita alla carenza di servizi pubblici per la cittadinanza, come gli asili nido, che fanno sì che il peso delle responsabilità ricada spesso sulle spalle solo delle donne. E questo può essere sicuramente un ulteriore deterrente.
Se le donne lavorano hanno anche più figli
A dirlo è Save The Children che ha definito “equilibriste” le mamme italiane nel report annuale omonimo in cui si evidenziano le difficoltà che devono affrontare ogni giorno. La relazione tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità è diretta; nei Paesi in cui le donne lavorano di più, nascono più bambini. Tuttavia, in Italia si osserva una segregazione orizzontale e verticale, che limita le scelte educative e lavorative delle donne, nonché la loro possibilità di raggiungere posizioni di vertice. Il tema della conciliazione tra lavoro e organizzazione familiare è particolarmente rilevante, i dati mostrano che il tasso di occupazione delle donne con figli in età scolare è del 73%, rispetto al 100% delle donne senza figli nella stessa fascia d’età.
Inoltre, le madri con un livello di istruzione inferiore sono penalizzate maggiormente nella partecipazione al mondo del lavoro.
La carenza di asili nido pubblici resta il problema principale
Sempre secondo Save The Children, gli asili nido, che permetterebbero alle donne di alleggerire il loro carico di lavoro di cura, sono insufficienti e non accessibili a tutti. Più di sei donne su dieci dichiarano che i loro figli non li frequentano. Le carenze del servizio pubblico rappresentano una delle principali ragioni di questa situazione. Moltissime mamme faticano a trovare il tempo per sé stesse o per uscire con il proprio partner a causa della mancanza di opzioni affidabili per lasciare i figli. Questa carenza di supporto porta spesso a sensi di colpa e crisi all’interno delle relazioni di coppia.
Il 65% delle dimissioni delle donne è per lacune dell’istituto di conciliazione
A convalida delle conclusioni del Report di Save The Children anche i dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) sulle convalide delle dimissioni, l’atto amministrativo con cui i funzionari dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro accertano la reale volontà della madre/del padre di lasciare il proprio posto di lavoro. Nel 2019 il numero di quelle complessivamente adottate su tutto il territorio nazionale sono state 52.436, di queste 37.662 (il 71,8%) si riferiscono a donne e 14.774 (28,2%) a uomini. Nella richiesta di convalida delle dimissioni viene chiesto di indicare i motivi, che differiscono tra donne e uomini. Tra gli uomini il 78% delle dimissioni è legato al passaggio a un’altra realtà lavorativa, il 3% alla difficoltà di conciliazione tra lavoro e attività di cura, il 4% a ragioni legate all’azienda e il 3% a cambio residenza o distanza. Per le donne il quadro è più complesso: le difficoltà di conciliazione tra lavoro e funzione di cura sono complessivamente il 65,5% del totale delle motivazioni, divise tra le difficoltà connesse alla mancanza di servizi (44%) e il 22% a problematiche legate all’azienda e all’organizzazione del lavoro.