La foresta amazzonica è un patrimonio naturale inestimabile da cui dipende l’intera esistenza del nostro Pianeta eppure la sua devastazione non sembra arrestarsi. Secondo i dati forniti dal Deter dell’INPE (National Institute for Space Research) quasi 4.000 km2 di foresta amazzonica sono stati distrutti nei primi 6 mesi del 2023 e ben 3.988 km2 nei primi 6 mesi del 2022. Emanuela Evangelista, una biologa italiana che risiede in un remoto villaggio amazzonico da oltre 20 anni, ha per questo studiato il progetto “Together we plant the future”, che mira a coinvolgere attivamente le comunità locali, aiutando le persone che vivono nella foresta ad uscire dalla povertà, causa spesso di atti criminosi come il bracconaggio o le coltivazioni aggressive, tra le più dannose per l’ambiente. Il piano ambizioso e innovativo è il risultato di una partnership tra aziende ecosostenibili, l’Istituto brasiliano di sviluppo e sostenibilità (IABS) e Amazônia Onlus, l’organizzazione fondata appunto dalla biologa Evangelista per proteggere la foresta amazzonica e, contemporaneamente, migliorare le condizioni di vita di oltre 1.400 famiglie di agricoltori che vivono nelle zone rurali circostanti. “Il bello di ‘Together we plant the future’ è proprio in quel ‘together’ – spiega la biologa -. Agiamo localmente per raccontare anche il buono che c’è in Amazzonia, tanta bella foresta che noi sappiamo come difendere”.
Deforestazione e degrado ambientale le due principali minacce
La zona selezionata per l’applicazione del progetto si trova al confine tra gli Stati brasiliani di Maranhão e Pará, una area densamente popolata. “L’Amazzonia non è minacciata solo dalla deforestazione, ma dal degrado ambientale – spiega la biologa –. Succede quando viene sfruttata in modo non sostenibile, e così si impoverisce. Nella zona dove si svolgerà il progetto ci sono fazzoletti di foresta frammentati e intervallati da strade e piantagioni. L’interruzione è un problema per gli animali e le piante, che non trovano spazio e non possono transitare”. La Evangelista sottolinea anche l’importanza di coinvolgere attivamente la popolazione locale nel progetto, piuttosto che introdurre programmi preconfezionati dall’alto.
Ogni famiglia sarà custode del proprio pezzo di foresta
In collaborazione con 17 piccole comunità rurali, che rappresentano appunto le 1.400 famiglie, verranno creati dei corridoi di biodiversità che collegheranno mezzo milione di ettari e favoriranno l’agricoltura sostenibile, promuovendo la pratica dell’agriforestazione, in modo che gli agricoltori della zona siano incoraggiati a coltivare piante autoctone (come le bacche di açaí e le noci di cocco babassu) per aumentare la produttività agricola nei loro terreni. In questo modo, ogni famiglia diventerà un custode della foresta, rimboschendo il proprio terreno in modo produttivo. L’attività della durata di tre anni, non si fermerà alla sua conclusione, ma continuerà a sorvegliare la situazione a lungo termine. “Dopo i 3 anni, continueremo a monitorare poiché il problema è sempre creare reddito, per migliorare la qualità della vita delle persone”, ha fatto sapere la Evangelista.